di Aldo Primicerio
Non tutti abbiamo prestato la dovuta attenzione al tema della cosiddetta autonomia differenziata. Crisi, Covid, guerre, inflazione. Con tante gatte da pelare ci è passato sotto il naso come un treno il disegno di legge Calderoli, approvato dal consiglio dei ministri e tuttora all’esame del Senato. Persino i media lo hanno affrontato episodicamente e con scarsa attenzione. Certo, l’iter si presenta lungo, ma gli effetti su sanità ed altri comparti sarebbero così gravi che vale la pena riattivare la nostra attenzione. Tutto si riconduce all’art.116 della nostra Costituzione, che prevede la possibilità delle Regioni di rinegoziare con lo Stato ulteriori forme di autonomia. Immaginando, ad esempio, che una Regione richieda la gestione autonoma totale del proprio sistema sanitario, per sostenere le intere spese reclamerebbe una parte della fiscalità che oggi va allo Stato. Ciò richiede che le Regioni abbiano un gettito fiscale sufficiente e che riescano a riscuoterlo. E questo, lo sappiamo, non è di tutte le Regioni, il che aggraverebbe ulteriormente le disparità e le differenze regionali.
Anche l’ambiente nel regionalismo differenziato
Ma ad essere candidata alla differenziazione regionale non è solo la sanità. Con il disegno di legge proposto dal Governo si intende dare attuazione all’articolo 116, comma 3, della Costituzione. Ferme restando le prerogative delle Regioni a statuto speciale, possono essere consentite anche a quelle a statuto ordinario “ulteriori forme e condizioni particolari di autonomia”, anche in materie come la tutela dell’ambiente, dell’ecosistema e dei beni culturali, che sono sempre rientrate nella legislazione esclusiva statale. Nel febbraio 2022 fu approvata una modifica degli articoli 9 e 41 della Costituzione, che introduceva la tutela dell’ambiente, della biodiversità e degli ecosistemi tra i principi costituzionali fondamentali, ponendo la tutela dell’ambiente anche quale limite all’iniziativa economica. Immaginate l’ambiente, la natura, il sistema animale, nelle mani delle Regioni? Sarebbe un disastro annunciato. Innanzitutto, come trasferire competenze, legislative e amministrative, su materie quali la tutela dell’ambiente, dell’ecosistema e dei beni culturali, che rientrano tra quelle su cui lo Stato ha competenza legislativa esclusiva? Come conciliare la concorrenza legislativa tra Stato e Regioni? E qui torniamo ad un discorso tante volte affrontato: quello della leggerezza con cui Giorgia Meloni ha strutturato il suo Governo. Affidare il dicastero degli affari regionali e delle autonomie ad un leghista equivale ad un karakiri. Con tutto il rispetto per Calderoli, quale contributo può dare al Paese l’esponente di un partito che fa del nordismo esasperato un’arma per sconfinare nel secessionismo? Ma c’è un’altra domanda: la tutela dell’ambiente, passato da valore costituzionale a principio fondamentaledella Costituzione, può essere trasferito con le stesse modalitàquale competenza alle Regioni?
Sulle autonomie regionali disaccordo e guerra sottile nella destra
La discussione sui Lep, i Livelli essenziali di Prestazioni, divide la Lega da Forza Italia e da Fratelli d’Italia. Non è chiaro come s’intende gestire le forti diversità dei Lep tra Regioni, che rischiano di frammentare e sperequare ancor più il Paese. Elisabetta Casellati, ministro delle riforme istituzionali, guarda un po’ di traverso Calderoli, e precisa che il tena delle autonome regionali va discusso nelle aule del Parlamento e non nelle piazze dove sventolano i vessilli di Alberto da Giussano. Ed anche Fratelli d’Italia non sono d’accordo sulla impostazione data dal comitato tecnico di Calderoli. Insomma non è consentibile che un partito che ha il 9,8 per cento del consenso degli italiani debba decidere sui destini del Paese, e che uno che ne ha quasi il 30 (FdI) debba stare a guardare. Senza contare che chi è assai critico sulle autonomie differenziate (l’opposizione, Pd, M5S, Verdi-Sinistra, + Europa), oggi è il 42 per cento del Paese.
Il WWF al di sopra delle parti, con una competenza sconosciuta ai politici
Chi ci erge al di sopra dei partiti è il WWF. Va al di là di ogni logica partitica ed anche giuridica, sostenendo che il regionalismo differenziato non possa e non debba comprometteregaranzie di tutela omogenee su tutto il territorio nazionale. Vale la pena ricordare che già la Corte costituzionale ha affermato che il livello di tutela dell’ambiente e dell’ecosistema che lo Stato deve assicurare dev’essere “adeguato e non riducibile” da parte delle Regioni. Chi decide qual è, ad esempio, il parametro essenziale di prestazione che dev’essere garantito per il mantenimento di un servizio ecosistemico? E come questo dev’essere per garantire l’interesse delle generazioni future, principio richiamato dal riformato articolo 9 della Costituzione? Non è certo mistero poi che le Regioni abbiano variamente cercato di aggirare le normative statali in campo ambientale e non siano certo state protagoniste della corretta applicazione degli obblighi comunitari in materia. L’ultimo episodio in ordine di tempo è quello sulla caccia in Campania, dove – dopo due delibere, due ricorsi e due bocciature del Tar – il presidente De Luca farebbe bene ad invitare alle dimissioni l’assessore all’agricoltura o a licenziarlo.
Da Nordio e Meloni no al Trojan per intercettazioni sulla corruzione nella PA
Il Fatto lo chiama un accanimento terapeutico. Io invece la chiamerei Sindrome di Stoccolma quella di cui soffre il ministro della giustizia Carlo Nordio. Lui è stato un magistrato, un sostituto procuratore, un inseguitore dei criminali. Ed ora in politica che fa? Diciamo che lui ora fa l’opposto. Usando un po’ di simpatica ironia, è preso da una sorta di paradossale simpatia per i criminali, sostenendo l’abolizione di quello che da sempre è considerato lo strumento tecnologico essenziale per aiutare a scoprire indicibili accordi corruttivi tra affaristi, gangli delle consorterie criminose e amministratori pubblici. Insomma, lui Nordio – protagonista di memorabili inchieste sulle Brigate Rosse, su sequestri di persona, tangenti, e sullo scandalo del Mose a Venezia – proprio lui fa una clamorosa retromarcia diventando il padre putativo di questa (per ora solo proposta) abolizione. Premesso che il 70 per cento degli italiani è favorevole alle intercettazioni, che tolgono il sonno i politici ma non agli onesti, possibile che quello di abolire i trojan e di limitare le intercettazioni sia diventato una specie di virus, un Covid sempre in agguato, pronto ad impestarci periodicamente con le sue varianti? Viviamo il dramma della guerra russo-ucraina, la tragedia dei morti ed il dramma dei bambini sequestrati, siamo oberati dagli sbarchi dei migranti, viviamo l’incubo dell’inflazione e dei prezzi alle stelle, e con tutto questo abbiamo anche il tempo di pensare alle intercettazioni? Vogliamo fare un sondaggio su quanti di noi temiamo di essere intercettati? Le vogliamo limitare perché in Italia viene prima la casta, che le teme come un’invasione di campo? Non è il caso invece di pensare che i trojan sono dei veri apriscatole per scardinare un sistema di accordi, di tangenti, di gravi delitti ed affari illeciti? O non accade piuttosto che Nordio ed i suoi colleghi di governo siano invece presi da una grave forma maniacale. E che – sempre restando sui toni di una simpatica ironia – tra le fila di questo governo non sia il caso di far circolare qualche specialista della psiche?
E’ facile intuire che sul tema delle autonomie moltissimi italiani su diversi temi mantengano forte il loro orientamento verso una indiscussa centralità dello Stato.