- di Peppe Rinaldi
- In verità non sarebbe neppure una notizia tenuto conto della regola adottata in casi come il suo: ma che la procura della repubblica di Salerno sia orientata verso la richiesta di un giudizio immediato per l’ex presidente della Provincia Franco Alfieri, detenuto dal 3 ottobre scorso, si fa ogni giorno più concreta. Nella Cittadella nessuno si sbottona, attendono la valutazione specifica dal vertice dell’ufficio (segno che le cose hanno preso, pur tra mille intoppi, un ritmo ordinario), di tempo per farlo ancora ce n’è: e allora tocca agli osservatori andare in avanscoperta formulando ipotesi basate sul decorso tecnico e naturale degli accadimenti e su un certo empirismo accresciuto dal tempo. Giudizio immediato, da non confondersi col «rito abbreviato», sta per «subito al dibattimento», cioè facciamo «immediatamente» il processo: è facoltà del pm chiederlo (al gip), come avvenne, ad esempio, per un altro sindaco clamorosamente ammanettato, quello di Eboli, Massimo Cariello, oggi con quattro anni di condanna sul groppone per corruzione inflittagli in primo e secondo grado. Naturalmente la parola fine per l’ex primo cittadino ebolitano la pronuncerà la Corte di cassazione.
- Tornando ad Alfieri, lo schema è anche qui quello classico: è stata chiesta dal pubblico ministero una prima misura cautelare e un giudice l’ha accolta; poi è stato interrogato nel passaggio di garanzia previsto dalla norma e pure in quel caso un giudice ha considerato solida, sebbene pro tempore, la posizione dell’accusa; infine – e non è sempre scontato – il tribunale della Libertà (Riesame) pure ha aggiunto un’altra tessera nel mosaico accusatorio rigettando l’annullamento della misura cautelare per l’ex sindaco di Capaccio chiesto dalla difesa, accogliendo la sola attenuazione afflittiva dal carcere ai domiciliari. Sono tre passaggi all’interno di un iter di scuola che fanno inclinare la bilancia in favore della richiesta, sempre al giudice, del giudizio immediato: insomma, siamo nel campo di ciò che volgarmente chiameremmo «sensazione di sicurezza» sul proprio operato da parte dell’ufficio del pm, tanto da chiedere di andare subito a processo saltando la fase della udienza preliminare dinanzi al gip; in parole povere una sorta di “sappiamo ciò che abbiamo fatto e, quindi, con le risultanze fin qui ottenute ci sentiamo di affrontare il dibattimento”. Dal giorno dell’ordinanza cautelare una procura ha sei mesi di tempo per scegliere la linea «politica» da seguire, ne sono trascorsi già due e, benché sia apparso sinora tutto abbastanza chiaro (per quanto sia possibile sostenerlo in questa fase), è lecito attendersi che non sarà necessario ne trascorrano altri quattro per chiudere il cerchio, al netto di sempre possibili imprevisti o cambi di marcia. Questo almeno per ciò che concerne il primo filone di indagine, quello che ha sconquassato la vita politica (e sicuramente – forse soprattutto – quella personale) di Franco Alfieri, rideterminando il ciclo vitale di un pezzo importante del territorio salernitano: parliamo dei casi Dervit e Cogea e, a latere, Fondovalle Calore e sottopasso di Paestum, dove un altro politico di chiara visibilità, il consigliere regionale del Pd Luca Cascone, risulta interessato dalle indagini accanto ai soliti imprenditori e tecnici onnipresenti in certi tipi di indagini.
- Percorsi incrociati
- Poi ci sono gli altri rivoli dell’inchiesta principale, affluenti di un esteso fiume giudiziario che nel corso del tempo ha scavato il proprio alveo sotto la crosta di un terreno magmatico e friabile al contempo: c’è da capire se Alfieri abbia goduto e in che termini della «simpatia» di alcuni magistrati del distretto di Salerno (sarebbero tre, forse quattro, da quel che si è capito finora) ma questo, ovviamente, è un problema della procura di Napoli già da tempo; c’è il complesso delle relazioni e degli intrecci politico-finanziari scatenati dalla commistione tra attività politica, gestione di enti locali e interessi bancari, tutte radici di un clamoroso conflitto – Alfieri, in un certo senso, è prima banchiere e poi politico – sin qui scansato dagli organi di controllo; c’è la trama degli appetiti urbanistici che, per natura propria, innervano il tessuto di diverse amministrazioni pubbliche locali del Cilento; c’è l’universo, mai scandagliato per davvero, dei concorsi pubblici tra Unione comunale Alto Cilento e singoli enti affiliati; c’è quello affine dei «posti» tra Asl e municipi vari nel sempiterno gioco delle «mobilità&distacchi» di antica memoria; c’è, ancora, il bubbone del Consorzio Farmaceutico Comunale (Cfi), il cielo del quale continua a presentarsi dipinto di nubi minacciose anche per via di recenti acquisizioni investigative maturate negli enti-soci, innescate da un certo accanimento terapeutico nel tenere in vita un organismo già cadavere da anni per allontanare il cruciale momento della bancarotta (argomenti su cui torneremo nei prossimi giorni).
- Insomma, Alfieri funge da organo spugna attraverso cui si diramano più traiettorie inquirenti. Vedremo poi a valle cosa ne resterà: per ora pare che qualcosa sia residuata, il procuratore capo Giuseppe Borrelli potrebbe già dirsi soddisfatto di come le «sue» indagini stiano reggendo al vaglio di altri magistrati, non era scontato avvenisse, le cronache giudiziarie sovrabbondano di elefanti rivelatisi topolini nello spazio di un mattino. Poi, ovvio, tutto può accadere.
- In una lunga intervista rilasciata mesi fa a questo giornale il numero 1 della procura ebbe a dire, più o meno, che le aspettative di giustizia sono una cosa e la realtà concreta un’altra, a significare che non tutto va nella direzione apparente e che, soprattutto, siano necessari sangue freddo, pazienza e ragionevole decorso del tempo. Passò qualche mese e la fila dei carrelli giunse alla cassa, dove, a pagare il conto, trovammo Alfieri da una parte e quattro persone accusate dell’omicidio Vassallo dall’altra. Annunciando ulteriori tempi difficili.