
Di Lucia D’Agostino
Alessandro Quarta è un musicista e compositore eclettico, poliedrico, “virtuoso” nell’accezione di padronanza assoluta della tecnica nel suonare il violino, artisticamente “fuori dagli schemi” e un uomo “senza filtri”, una specie di rarità per i tempi che corrono dove la parola “filtro” è non solo il solo modo per districarsi nella vita sociale, ma soprattutto lo strumento senza il quale non c’è vita sui social. Un “papavero”, insomma, e il significato di questa parola riferita a lui lo capirete alla fine dell’intervista. Classe 1976, nato nel Salento, una breve carrellata biografica servirà a collocarlo nello spazio temporale della musica contemporanea, semmai sia possibile trovargli una collocazione determinata. Definito dalla CNN nel 2013 un “musical Genius”, premiato nel 2017 a Montecitorio come “Miglior Eccellenza Italiana nel Mondo” per la Musica, ha aperto e chiuso molte volte il prestigioso Festival Stradivari di Cremona. Negli spettacoli di Roberto Bolle portati in giro nei più prestigiosi teatri, non solo in Italia, ha avuto un grande successo eseguendo dal vivo i brani “Dorian Gray” ed “Etere”, composti e arrangiati da lui. Come compositore ha partecipato alla scrittura di musiche inedite per film della Walt Disney e Rai Cinema e come musicista ha collaborato, fuori e dentro le sale di registrazione, con artisti del calibro di Lucio Dalla, Boy George, Liza Minelli, Jovanotti, Lenny Kravitz, Celine Dion, solo per citarne alcuni. Alessandro Quarta suona un Alessandro Gagliano, violino rarissimo del 1723, un Giovan Battista Guadagnini del 1761 e un violino Bogdanoski vincitore del premio “Violin Society of New York”. Salerno lo ha applaudito sabato scorso in occasione della Settimana della Musica organizzata dal Conservatorio “G. Martucci” di Salerno al primo concerto tenutosi al Teatro Verdi, pieno e fibrillante, in cui era sul palco insieme ad Amii Stewart e all’Orchestra Sinfonica del conservatorio stesso, diretti dal Maestro Jacopo Sipari di Pescasseroli. Cresciuto musicalmente con i più grandi direttori del mondo, per cogliere appieno il talento di questo straordinario artista bisogna ascoltarlo dal vivo, soprattutto allora si percepirà la sua innata capacità di spingere l’ascoltatore in un baratro emotivo intensissimo di gioia e dolore che altro non è che la vita stessa.
Qual è stato il tuo primo incontro con la musica?
Avevo circa tre anni quando ho avuto in mano il primo violino un tre quarti, per gioco, poi un due quarti mi ha permesso di maneggiare lo strumento meglio e così è iniziata la mia passione. Per gioco perché ho iniziato con uno strumento che in famiglia suonavano mia sorella Patrizia, più grande di me di 13 anni e mio fratello Massimo, più grande di me di 12 anni. Loro poi si sono trasferiti presto a Roma ed io sono cresciuto, praticamente, come un figlio unico e mi è rimasta questa voglia di suonare il violino perché stare sul palco in piedi mi restituiva l’immagine di un gladiatore. Poi ho studiato anche pianoforte e a 7 anni ho scritto la mia prima composizione per violino e pianoforte in modo da poter suonare con mia sorella e mio fratello. Io sono cresciuto con tre LP fondamentali, Mozart, B.B. King e i Beatles, questi sono stati la mia scuola di formazione.
Cosa rappresenta la musica per te? Che importanza ha nella tua vita?
Conosco solo la musica nella mia vita. A lei ho dedicato tutta la mia vita. Ho lasciato tutto il resto per la musica con un sacrificio enorme. A 14 anni andavo da solo all’estero, in Russia, per dei corsi di perfezionamento, viaggiando in treno due giorni consecutivi, sia andata che ritorno; non so quanto adesso sarebbe consentito ad un ragazzo di 14 anni fare quello che ho fatto io. Nella vita ho fatto solo quello, dedicarmi alla musica, è lei la mia famiglia, le note sono i miei amori, i brani i miei figli; la musica è tutto, insomma.
Sei stato definito un musicista dal cuore classico e l’animo rock, anche la ribellione, l’anticonformismo presuppone impegno, studio, conoscenza.
Il talento non serve a niente, ciò che conta è esprimere emozioni. Posso suonare un Allegro a velocità massima dando prova di bravura tecnica però eseguire un lento ti prende alle lacrime e ti apre in due come una lama. Allora sì che hai trasmesso qualcosa. Studio e sacrificio sono state la costante della mia vita, ore e ore al giorno bisogna dedicarle a conoscere sé stesso, ad avere uno stile proprio. Io voglio essere riconoscibile, la mia musica e il mio suono voglio che siano riconosciuti. Come dico sempre, io mi definisco, non un musicista, un pittore: il violino è il pennello, le emozioni sono i colori e l’aria è la tela. Il successo è, per me, attenzione maniacale nella cura dei dettagli, è dedizione; come diceva Mozart la musica non sta nelle note è tra le note che possono esprimersi in modi diversi. È la vita la più grande insegnante, prima ti dà il compito e poi te lo spiega. Il talento è anche saper conoscere e riconoscere il suo insegnamento e mica è detto che tutti imparino la lezione.
Che rapporto hai con i social? Appena ti ho sentito suonare dal vivo ho pensato che fossi un musicista “senza filtri” e guardando qualche tuo post ho avuto la sensazione che te ne occupassi personalmente.
La vita è mia, e sono io che decido cosa fare; quando ho voglia di pubblicare qualcosa lo faccio perché mi va di condividerla, senza adeguarmi alle esigenze della massa che il tempo lo dedica allo smartphone. Ormai i ragazzi da 11 anni in poi fanno balletti, si espongono spinti spesso dagli adulti che dovrebbero insegnargli altro. Mi pare che l’unica soluzione sia riuscire a coltivare il proprio mondo, chiudendolo alle richieste di una massa informe, e difendersi dall’ignoranza sociale umana.
Dove pensi che stia la chiave di lettura dei tempi iperconnessi, e “sconnessi” allo stesso tempo, che viviamo?
La responsabilità di tutto sta nella famiglia, è dalla casa che parte tutto. Non so quale psicologo ha detto che la generazione dei quarantenni di oggi è tra le peggiori. Ci sono ragazzine che pubblicano post mentre suonano poco vestite, in cui l’attenzione non è concentrata sulla musica ma sull’esposizione del corpo, e ad accompagnarle a qualche selezione preparate in quel modo sono proprio i genitori. È vero anche che, se si prova a dare uno sguardo ai compiti che gli studenti devono svolgere a casa dopo la scuola, ci si accorge che sono devastanti, impegnano una giornata intera. Prima c’era più tempo per svolgere anche altre attività, e bisogna chiedersi a cosa serve oggi la scuola che tende ad appiattire tutti laddove un tempo coltivava le differenze di ciascuno di noi, e per ogni individuo l’insegnante aveva un approccio diverso. Non rimpiango il passato, non è vero che tutto era migliore prima, al contrario. Però se non è la società ad essere specchio della musica ma è la musica ad essere specchio della società allora dico quello che penso: oggi la musica fa “ca***e”. Non si può scrivere musica solo perché agli altri piace o per guadagnare, chi lo fa non lo invidio. Se vuoi fare musica devi mettere in conto di morirti anche di fame, non puoi fare musica avendo come punto di riferimento quello che fanno gli altri e invidiarli se fanno soldi. Io ho sofferto, non ho mai invidiato il successo altrui, ho lavorato con i grandi della musica italiana, come Pino Daniele, e della musica internazionale, come Santana. Mi piace chiudermi nel mio mondo anche quando scrivo, e lo faccio ancora con carta e penna senza l’ausilio dell’intelligenza artificiale anche se guadagno meno. Mi piace ricordare un episodio emblematico della mia infanzia. Avevo sei anni, sono passati 42 anni, e per andare a scuola prendevo un autobus che attraversava la campagna. Durante il percorso mi trovavo di fronte ad un campo pieno di margherite sui cui ne svettavano alcune di altezza maggiore. Poi all’improvviso è comparso un papavero solitario in mezzo a tutta quella cromia uniforme di margherite. Io volevo e voglio essere un papavero, non la margherita più alta, e per ottenere questo c’è un prezzo da pagare: studiare fino alle due di notte, rinunciare ad uscire con gli amici la sera, per non sottrarre tempo allo studio, sacrificarsi.
Il tuo ultimo lavoro si chiama “I 5 Elementi”, come lo descriveresti?
È una chiave. In un primo momento volevo scrivere una autobiografia, poi è venuta fuori questa chiave. Tutti noi abbiamo un cassetto di emozioni che ci fanno piangere non perché siano negative, bensì perché sono nostalgiche, profonde, malinconiche come quei momenti in cui sorridi e scende una lacrima. Quell’universo di emozioni intense sei tu e questo lavoro è la chiave che apre il cassetto.
Cosa diresti a quel bambino che sei stato, e cosa ad un bambino adesso, circa la musica
È la più bella domanda che mi abbiano mai fatto. Grazie!
Se dovessi incontrare Alessandro gli direi: segui te stesso, incontrerai tante cose belle nella vita e anche tante meno belle. Non dare retta agli altri. Negli Anni ’80 c’era la musica classica, Mozart, da una parte e la musica rock dall’altra, una contaminazione era impensabile, era vista come una dissacrazione imperdonabile. Nella vita esistono tre cose: il sesso, nasciamo da un atto di godimento, semplicemente, e ci dimentichiamo che veniamo tutti da lì; la malinconia, quella sensazione che si ha quando qualcuno ha un obiettivo, un desiderio, e nel non realizzarlo non crede più in sé stesso; e l’amore, non l’amore legato al desiderio di qualcuno, al quale promettiamo amore eterno fino a quando non siamo presi da qualcun altro, al quale giuriamo fedeltà, in un susseguirsi infinito, bensì l’amore più grande di tutti, quello per sé stesso. Queste tre cose fanno parte della musica, perché la musica è la vita stessa. Ad un bambino oggi direi solo una cosa sola: buona fortuna.