Agropoli Carola ed jet set dell'Agropoli del Ventennio: la favola di Antonicelli - Le Cronache Attualità
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Agropoli Carola ed jet set dell’Agropoli del Ventennio: la favola di Antonicelli

Agropoli Carola ed jet set dell’Agropoli del Ventennio: la favola di Antonicelli

di Oreste Mottola

Partiamo da Carola. La struttura più antica – un imponente palazzo su tre piani – è stata costruita per uso di residenza estiva dalla famiglia nobiliare dei Mangoni di Copersito nell’ultimo quarto del XIX s., in assoluta contiguità al cosiddetto Palazzo Cirota o Palazzo della Pretura, oggi avente l’utile funzione di Palazzo Civico delle Arti. Già nel 1890 Nicola Carola e la moglie, in accordo con i Mangoni, fondarono nei locali del piano terra una trattoria con mescita di vini e emporio alimentare, e al primo piano una locanda. I Mangoni continuavano a frequentare il palazzo, al piano nobile o secondo, durante le vacanze estive. Le stanze erano e sono tutt’ora molto ampie e ariose, con una scalinata in pietra che conduce dal primo al secondo piano illuminata da due bifore in pietra. Al secondo piano i Mangoni istituirono anche una cappella privata, dove si sposarono le sorelle Carola nei primi decenni del XX s., tutt’ora esistente e consacrata. Nel 1927 entrò in famiglia Maria Sarnicola, come moglie di Gaetano Carola, che avrebbe costruito negli anni la fama del Carola come luogo di culto per gli amanti della cucina di pesce. Negli anni ’30 del XX s. i Mangoni rinunciarono alla residenza estiva, vendendo tutto ai Carola, che ampliarono l’albergo sino al secondo piano incluso, dove ancora si conserva la stessa disposizione delle stanze e parte degli arredi mobili. La fama sovraregionale dell’Hotel Ristorante era già tale che a Gaetano Carola venne offerta già nel 1931 la tessera di socio vitalizio del Touring Club Italiano dall’allora presidente Giovanni Bognetti. Non a caso, negli stessi anni, il Carola divenne spesso meta del Principe Umberto di Savoia, in visita a Persano. Tra il 1935 e lo scoppio della Seconda Guerra Mondiale, il Carola divenne la sede del confino di illustri antifascisti, tra i quali spicca lo scrittore e ideologo Franco Antonicelli. Illustre intellettuale torinese, Antonicelli coltivava amicizia con Benedetto Croce, che gli fece visita presso il Carola. Antonicelli si sposò a Capaccio il 26/12/1935, partendo dall’Hotel Carola, e fece anche da padrino di battesimo ad una delle figlie di Gaetano Carola, Cristina. Di Agropoli e di Raffaele Carola, fratello di Gaetano, Antonicelli ha lasciato un commovente ricordo nel racconto Autunno in Agropoli pubblicato nella raccolta Il soldato di Lambessa, Torino, Einaudi, 1956.Negli anni della Seconda Guerra Mondiale il Carola venne scelto quale base operativa del Comando Alleato del Generale Clark, la cui attività culminò nella famosa operazione Avalanche del 9 Settembre 1943, ossia lo sbarco tra Salerno e Paestum che portò alla liberazione dal giogo nazi-fascista. In quel frangente, il Comando Alleato ordinò un pranzo alla famiglia Carola per ospitare i generali italiani con i quali discutere dei termini della resa. Di ritorno dalle riprese del film Stromboli fatte in Sicilia (1949), la neo-coppia composta dal regista Roberto Rossellini e dall’attrice Ingrid Bergman si fermarono ad Agropoli perché a conoscenza della fama del Carola. Negli anni ’50 andava in vacanza al Carola il Principe di Baviera Rupprecht, ultimo erede al trono della corona bavarese, che prima da esule anti-nazista, poi da cultore delle bellezze italiche, spese lunghi periodi in Italia. Gli anni ’50 e ’60 videro una sequenza di ospiti illustri tra teste coronate e protagonisti del mondo dello spettacolo. I reali d’Olanda, si può dire ‘in borghese’, godettero dell’ospitalità del Carola, come testimoniato da una cartolina spedita dal loro palazzo reale. Negli stessi anni veniva in vacanza con la moglie al Carola anche il più illustre orientalista ed esploratore italiano del ‘900, Giuseppe Tucci, fondatore insieme a Giovanni Gentile dell’Istituto Italiano per il Medio ed Estremo Oriente di Roma. Tra i tardi anni ’50 e i primi anni ’60 giunse in vacanza al Carola Bryan Walter Guinness, Barone di Moyne, erede della importante famiglia irlandese dei Guinness, fondatori della omonima fabbrica di birra. “Ho sentito parlare di questi posti grazie ai racconti che mi faceva Franco Antonicelli, il mio istitutore”, disse Gianni Agnelli, quando, era il 1990, si fermò con il suo yacht nel porto turistico di Agropoli. Visita memorabile, l’Avvocato, allora al culmine del suo potere, si allungò fino a Paestum, dove visitò il caseificio dei Di Lascio facendo gran provvista di mozzarelle. Antonicelli chi? si chiese più d’uno. “Dovrete salutare per me mezzo paese” scrisse quell’Antonicelli una volta ad un amico rimasto nel paese dove fu confinato dall’inizio dell’estate del 1935 alla primavera del 1936. Scrittore, uomo politico, giornalista, editore e grande coscienza critica dell’Italia repubblicana. Ad Agropoli lo mandarono a forza. Il paese che c’ è chi indica al titolo di “capitale” del Cilento instillò nell’uomo di cultura piemontese, ma di origini pugliesi, un grande vitalismo. “Autunno ad Agropoli” è il titolo del manoscritto di Antonicelli. Alla chiesa della Madonna del Granato, nella vicina Capaccio, il confinato andò a sposarsi. Era il giorno di Santo Stefano del 1936. Lui aveva tight e cilindro, mentre la sposa indossava un costume grecizzante ispirato alle vicine “vestigia” pestane. Le due grandi automobili arrivate da Torino dopo aver attraversato la polverosa Tirrenica Inferiore che tagliava a metà l’area archeologica di Paestum, aizzarono la fantasia popolare dei braccianti di Capaccio e di Fonte di Roccadaspide richiamati dall’evento. Difficile immaginare che sapessero chi fossero gli sposi. I giornali di allora queste notizie non le davano. Meno che mai la radio, tutta discorsi del Duce con il sottofondo di adunate oceaniche di folla e le truppe di Graziani e Badoglio che del Negus Hailè Selassiè facevano polpette, però usando i gas. Franco Antonicelli, una laurea in lettere ed un’altra in giurisprudenza, come ultima occupazione era stato il precettore del giovane Gianni Agnelli. Lei, Renata Germano, era la figlia di Annibale, il notaio della Fiat. Ai locali parve di assistere ad una scena di un film. La scorta di forza pubblica che seguì la cerimonia contribuiva ad aumentarne l’alone di leggenda. Lui, “l’antifascista biografato in oggetto” o il “pregiudicato politico Antonicelli Franco”, come si legge dalle note di questura, da sette anni era nel mirino della polizia fascista. Fin da quando, nel 1929, osò scrivere una lettera di solidarietà al filosofo Benedetto Croce che, in Senato, aveva contestato i Patti Lateranensi. Fu condannato ad un mese di carcere e gli fu proibito ogni impiego pubblico. Da qui la scelta di fare l’insegnante privato. Alle 6.45 del 15 maggio del 1935 fu coinvolto nella retata di duecento persone, tutto il gruppo torinese di “Giustizia e Libertà “ e gli “einaudiani” della rivista “La Cultura”. La “spiata” fu di Pitigrilli, lo scrittore decadente. Scattò così l’invio, per tre anni, al confino di Agropoli. Sempre meglio della galera? No, il confino, era sempre fatto di sofferenza ed umiliazione. Arrivato nella cittadina cilentana Antonicelli cercò subito il modo di occupare le giornate. Dipingeva i paesaggi che guardavano ai monti ed alla marina, scriveva, raccoglieva canzoni popolari cilentane dai marinai e dalle popolane, e poi fotografava. Entrava nelle povere case dei contadini e curiosava tra capre e maiali. Avrebbe voluto inerpicarsi per i paesi più interni, glielo proibirono. “Gli agropolesi gli vollero bene. Quel giovane signore colto ed elegante parlava con tutti. Ed ascoltava”, racconta Domenico Chieffallo, che l’avventura dei confinati ad Agropoli, “almeno sessanta”, l’ha documentata in un suo prezioso libricino. Il periodo del confino ad Agropoli di Franco Antonicelli fu ricco d’umanità “Non abbiamo mai dimenticato Agropoli: io specialmente, quanto più passa il tempo, tanto più penso con piacere e nostalgia al vostro paese: mi ricordo tutte le giornate trascorse in compagnia vostra, tutte le canzoni cilentane che ho imparato, tutti gli amici che ho conosciuto”, scrisse ad un amico di quel tempo. Così l’ex confinato Franco Antonicelli racconta del periodo che dovette trascorrere nel paese che ancora non era stato scoperto dal turismo di massa. Passava le serate di un’estate agropolese lunga che si prendeva grandi parti della primavera e dell’autunno stando fermo sui lunghi gradoni del porto conversando, dipingendo o manovrando la sua macchina fotografica. La mattina no, era alla marina, dove dai pescatori si faceva raccontare storie e canzoni. A Renata, prima fidanzata e poi moglie, scriveva ogni giorno una cartolina con un ad un lato una foto di Agropoli e dall’altra la trascrizione esatta di una canzone popolare. Accettò di fare il padrino per il battesimo di Cristina, la figlia di Carola, il proprietario dell’albergo ristorante più rinomato del Cilento, dove scendevano Umberto di Savoia, il principino, e più di una volta, in segreto, Benedetto Croce venne a far visita a quel suo discepolo pugliese – piemontese. “Ad Agropoli di quell’anno che Antonicelli rimase qui – racconta Chieffallo – rimane il ricordo di quella raffinata eleganza di modi, di comportamento, di parola. Un animo colto e gentile…”. Gli rimase sempre il rammarico di non essere riuscito a trarre da quell’esperienza libri come “Cristo si è fermato ad Eboli” di Carlo Levi o “Il carcere” di Cesare Pavese.