di Gianfranco Coppola
L’inesorabile usura della macchina umana lo aveva tolto dal giro di rapporti di cui era capace come pochi altri di tenere assieme storie e territori. Pino Adduci, di nascita lucano, è un pezzo della Salerno dei favolosi anni ’60. La notizia della sua morte è scivolata come tra le rapide di un fiume coi suoi affluenti, di bocca in bocca, tra un accavallarsi di ricordi. Mentre il nastro della memoria riavvolge pezzi di vita, viene fuori un personaggio che oggi definiremmo social eppure faticava ad avere dimestichezza coi primi telefonini, ed anche con gli ultimi. Fu ventenne al seguito del papà Pasquale, imprenditore nel settore calzaturiero, calciatore della Salernitana. Più che i piedi, di buono aveva la capacità di fare gruppo e la tenacia. Era nella squadra che conquistò la magica promozione in serie B dopo lo spareggio di L’Aquila sotto la guida di Tom Rosati, quella con Prati, Corbellini, Piccoli, l’altro Rosati in campo e una serie di cavalieri granata che partiti senza arte né parte firmarono una impresa leggendaria per intensità emotiva e qualità tecnica. Mai dimenticata che si tramanda nei racconti da intere generazioni. La carriera da calciatore fu breve, non così quella da imprenditore sempre più di successo nella scia del papà. Comprava pellame, produceva, vendeva. Macinando chilometri su chilometri senza risparmio. La qualità umana gli consentiva di avere il “pass” ovunque, diventando insostituibile compagno per tanti al Circolo Canottieri presieduto all’epoca dal mostro sacro Nicola Fruscione, a a Sala Abbagnano diletto amico anche di scherzi dell’apparentemente austero mitico Almerico Tortorella, medico e proprietario della più nota clinica salernitana. Solo alle sirene della politica ha avuto la forza di non cedere, legandosi all’albero maestro del suo personalissimo vascello un po’ come Ulisse a Palinuro. Già guarda un po’ dove portano le rotte della vita: Palinuro era il suo buon ritiro estivo, arrivava in barca da Salerno sul Pascal quasi sempre in compagnia del grande amico della giovinezza Nino Petrone dopo una navigazione con sosta culinaria a Licosa e bagno con… scherzi tra conigli saltellanti sullo scoglio. Il terrazzino di casa era una sorta di Mecca: chiunque passava o andava per chiacchiere in allegria. Grande la generosità. E’ scomparso nel giorno di San Giuseppe, il suo onomastico che era occasione per la stupenda e paziente moglie Serena altra metà di Pino quasi in età scolare di preparare nei tempi d’oro comitati di accoglienza per quel gran lavoratore che è stato Pino. E’ volato via nel giorno della festa del Papà: tiro mancino per i figli Federica, Francesca e Pasquale. Ormai adulti e vaccinati si direbbe, che lo hanno reso anche nonno, ma che ricordo eleganti tipo damina Federica, arrembante con il suo carattere gioioso Francesca da piccola una svedesina che il sole di Palinuro rendeva ancora più bionda e Pasquale dagli occhi azzurri, forte e abilissimo nella nautica. Da parecchio non lo si vedeva, ma l’addio è forte di ricordi che esaltano il suo amore per i valori più importanti.