L’insegnamento ai tempi del covid ha comportato una diversa rete di relazione nella quale il contatto diretto è venuto a mancare, ma non è mancato il fluire dell’empatia.
Di Lina Boffa
Il periodo che stiamo vivendo, pieno di tante fragilità ed incertezze, ha spinto noi docenti a maturare profondi cambiamenti nel modo di concepire l’attività didattica. Il momento di perdurante criticità ha richiesto che compissimo uno sforzo notevole di adattamento, all’interno della comunità scolastica, di una didattica alternativa, finora estranea al nostro precedente vissuto scolastico. Non è stato facile togliersi di dosso il vecchio, consueto vestito del rapporto vis-à-vis con gli allievi e proiettarsi nell’uso delle piattaforme informatiche individuate dall’Istituto di appartenenza. Io, dopo oltre 30 anni di insegnamento, mi avvio ormai verso la conclusione della mia attività lavorativa ma, nel mio percorso, mi sono messa continuamente in gioco e continuo a farlo quindi con determinazione anche adesso. “Fare scuola” in questo contesto delicato ha imposto nuove regole, ha modificato la vita di noi tutti, ha cambiato questa nostra attività lavorativa, ma ha significato anche purtroppo dover giocoforza ridurre il tempo dedicato alle spiegazioni. “Fare scuola” ha significato infatti per i docenti molte più ore di impegno al pc per attività di tipo amministrativo, prima più agevolmente esperite, quali l’invio di documenti e le registrazioni elettroniche, ma anche per la lettura, la correzione e l’inoltro dei documenti inviati dagli allievi. “Fare scuola” ha comportato una diversa rete di relazione nella quale il contatto diretto è venuto a mancare, ma non è mancato il fluire dell’empatia. Il sistema, pur con molti momenti ancora da perfezionare, si rivela comunque ugualmente valido per l’apprendimento e forse, addirittura, più consono alla mentalità delle nuove generazioni.