di Erika Noschese
Dal tribunale di Potenza a quello di Salerno, nel nome della giustizia e della verità. Intanto, si mescolano le carte ma domani mattina la Corte di Cassazione potrà mettere la parola fine; potrà scegliere di annullare la sentenza di Salerno e di attenersi a quanto emerso durante il processo a Potenza dove sono stati ascoltati tutti i testi, nessuno escluso. «Nove anni senza Massimo non si possono raccontare, noi non ci arrendiamo, arriveremo in tutte le sedi opportune». A parlare così è Osvaldo Casalnuovo, papà di Massimo, il giovane di Buonabitacolo morto a soli 22 anni, per mano di un carabinieri, perché – dicono ancora oggi – non si è fermato ad un posto di blocco.
Osvaldo, domani cosa succederà?
«Venerdì la Corte di Cassazione può attenersi a quelli che sono i fatti reali ma può fare di tutto: revocare la sentenza di Salerno e ripristinare quella di Potenza dove sono stati ascoltati tutti i testi».
Cosa si aspetta?
«Mi aspetto che venga fatta giustizia perché ci sono fatti certi, chiari. Ci sono testimonianze che a Salerno non sono state prese proprio in considerazione».
Crede ci sia stata negligenza da parte dei magistrati?
«Io non voglio dire negligenza, preferisco dire che c’è stata un po’ di inosservanza, per non dire altro. La negligenza non esiste per la giustizia italiana, nonostante sia stato detto in più occasioni, sia verbalmente sia scritto dai miei legali. Il tutto è stato fatto da pubblici ministeri; le cose scritte nel fascicolo sono state redatte dai pubblici ministeri, non l’abbiamo fatta noi».
E’ una battaglia che va avanti da nove anni, cosa è accaduto fino ad ora?
«Praticamente, primo grado di giudizio il giudice monocratico anziché andarsi a vedere tutte le carte se ne è uscito con l’assoluzione con formula dubitativa; successivamente noi, come parte civile, abbiamo fatto ricorso con la procura generale di Salerno. Siamo arrivati così a Potenza dove c’è stata una condanna, sono stati ascoltati tutti i testi, facendo il contraddittorio e mettendo in evidenza le testimonianze dei carabinieri che non sono risultate attendibili mentre lì hanno dovuto dire la verità. Siamo andati così in Cassazione: tutto ci aspettavamo fuorchè venisse sospesa la sentenza ma non il secondo grado di giudizio per una verifica della prova scientifica pur sapendo che era irripetibile ed era scritto su tutti i verbali. E’ già una cosa eccezionale: questo passaggio solitamente non si fa, dopo il terzo grado di giudizio è finita ma con un appiglio ci mandano a Salerno dove è successo l’inverosimile e le motivazioni non hanno peso, si sono affidati al verbale di servizio redatto dal carabiniere ma che in secondo grado è stato scoperto non essere un vero verbale di servizio ma era stato fatto per “aiutare” l’imputato e non è stato fatto il nome di chi ha imposto di scrivere il verbale in quel modo».
Se non dovesse andare come lei si aspetta?
«Io vado in tutte le sedi, non mi fermo a Roma e questo loro lo sanno. Io non mi fermo perché il quadro della situazione è chiaro. Se non lo vogliono condannare lo devono dire; è stata la Procura a mandarci avanti fino al terzo grado e non lo abbiamo fatto come parte civile perché la procura ha sostenuto sempre l’accusa».
Intanto, 9 anni senza Massimo…
«Questi nove anni senza Massimo non si possono spiegare. In casa non si vive, abbiamo ricordi ovunque perché con quei ricordi cerchiamo di tenerlo sempre in mezzo a noi ma poi la verità è un’altra».
LA RICOSTRUZIONE DEL PROCESSO: Nel 2013 l’assoluzione con formula “dubitativa” per il maresciallo Giovanni Cunsolo Da Potenza il processo si trasferisce a Salerno: la Corte d’Appello respinge le accuse
Il 29 agosto 2011 Massimo Casalnuovo era a bordo del suo motociclo, per recarsi presso l’officina di proprietà del padre. Stava percorrendo la via principale del paese quando, in un tratto di strada buio, ci sono gli uomini della municipale e dei carabinieri, in appostamento. Questi ultimi in particolare intimano a Massimo di fermarsi. Ma lui non può vederli, a giocare questo tiro mancino, infatti, la curva e la scarsa luminosità. Parte da qui l’inseguimento da parte dei carabinieri agli ordini del maresciallo Giovanni Cunsolo. Qualche secondo dopo Massimo è a terra, ha sbattuto il petto sullo spigolo di un muretto. Morirá in ambulanza poco dopo. Due le versioni portate in tribunale: quella dell’Arma dei carabinieri secondo cui Massimo è caduto dopo aver cercato di investire il maresciallo ferendolo ad un piede, e quella invece di alcuni testimoni secondo cui Massimo ha sbandato a causa del calcio sferrato allo scooter dal maresciallo Cunsolo. Il 5 luglio 2013 il giudice Enrichetta Cioffi del tribunale di Sala Consilina assolve il maresciallo dei carabiniere Giovanni Cunsolo con formula dubitativa dall’accusa di omicidio preterintenzionale perchè “il fatto non sussiste”. Il 4 dicembre 2017 invece la Cassazione annulla con rinvio sentenza di condanna emessa dalla Corte di Assise di Appello di Potenza. Parte coì un processo bis secondo cui “la prova scientifica, fondata sulla micro traccia di vernice blu rinvenuta sotto la scarpa dell’imputata non è risultata in alcun modo risolutiva: l’accertamento chimico sulla corrispondenza tra la micro particella e la vernice della scossa del motorino si è conclusa in modo negativo”, come si evince poi dalle motivazioni della Corte d’Appello di Salerno che respinge le accuse e conferma la sentenza di appello bis che assolve il carabiniere con la formula del “fatto non sussiste”. Domani ci sarà la sentenza della Corte di Cassazione che potrebbe mettere definitivamente la parola fine ad un processo durato, forse, anche troppo.