di Pina Ferro
Un bagno nel latte per eliminare definitivamente le tracce di polvere da sparo dal corpo. E se questo non fosse bastato aveva anche pronto un alibi costruito ad hoc: la partecipazione alla festa della Madonna di Carbonara e la partecipazione alla gara del tiro al caciocavallo (gara che si effettua con armi). A tal fine pare avesse anche chiesto ad alcuni conoscenti di riferire, in caso fosse stato chiesto, che era stato visto all’evento. Tutte le precauzioni prese non sono servite ad evitargli l’arresto. Con l’accusa del tentato omicidio di Generoso Raffaele Pennasilico e dell’ omicidio del padre Domenico Pennasilico è stato ammanettato Bruno Di Meo, 23 anni di Giffoni Valle Piana. L’omicidio, un vero e proprio agguato, avvenne il 23 aprile scorso sui monti di Giffoni Sei Casali dove la famiglia Pennasilico aveva il pascolo dei propri bovini. Ad assicurare alla giustizia il 23enne sono stati i carabinieri della compagnia di Battipaglia, agli ordini del maggiore Vitoantonio Sisto, in esecuzione di un ordinanza di custodia cautelare emessa dal Giudice per le indagini preliminari del Tribunale di Salerno Romaniello. A richiedere la misura cautelare è stato il pubblico ministero Katia Cardillo ed il procuratore aggiunto Luigi Cannavale titolari del fascicolo investigativo. Secondo i magistrati Bruno Di Meo, è l’autore del delitto avvenuto in zona “Cerzoni” sui monti Picentini. La misura cautelare è stata notificata ed eseguita nella tarda serata di mercoledì. Secondo i capi d’imputazione il 23enne deve rispondere di omicidio volontario aggravato dalla premeditazione, concorso in omicidio e porto ingiustificato di arma da sparo in quanto non era in possesso del porto d’armi. Il crimine sarebbe maturato in un contesto di dissidi tra pastori della zona per lo sfruttamento dei pascoli. Una faida tra due famiglie che sarebbe iniziata diversi anni fa. Tant’è che sono agli atti diverse denunce presentate dai due nuclei familiari che, in passato, si sono accusati a vicenda di invadere il campo di pascolo altrui. Stando alla ricostruzione operata dagli investigatori, nel primo pomeriggio del 23 aprile scorso, era martedì in Albis, Domenico Pennasilico si trova insieme con il figlio tra le alture per recuperare alcuni bovini che si erano allontanati dalla solita zona di pascolo. All’improvviso, vengono esplosi due o tre colpi d’arma da fuoco verso Generoso Raffaele che fortunatamente non vanno a segno. Ad entrare in azione sono state più persone. Nel frattempo anche contro Domenico vengono esplosi dei colpi di arma da fuoco. L’uomo riesce a chiamare il figlio e, ad esortarlo a mettersi in salvo perchè gli stavano sparando addosso. Quella conversazione, per Domenico sarà l’ultima perchè, quasi in contemporanea, viene ferito alla regione sacrale e, a una coscia da un primo colpo di fucile a pallettoni esplosi da complici di Di Meo. Poi, viene “finito” con un secondo colpo esploso a un metro e mezzo di distanza. Intanto, Generoso Raffaele allerta il 112. In quella “concitatissima telefonata”, come definita dal procuratore capo facente funzioni di Salerno, Luca Masini, il figlio riferisce che il padre è vittima di un agguato, che non riesce più a mettersi in contatto con lui e rivela anche quella che lui suppone sia l’identità dell’autore degli spari. Poche ore dopo, Domenico Pennasilico viene ritrovato morto nei pressi di un torrente ai piedi di un dirupo e il suo corpo recuperato, più tardi, da una squadra del soccorso alpino dei vigili del fuoco. Ed è lì che, probabilmente, avrà perso anche il cellulare, mai più trovato. «Generoso Raffaele, grazie a una maggiore agilità dovuta alla giovane età è rimasto incolume», ha spiegato il procuratore facenti funzioni Masini. Sia l’esame esterno del corpo che la successiva autopsia hanno confermato che la vittima è stata colpita da più proiettili. L’ultimo, nella regione dorso lombare, gli ha causato lo sfacelo degli organi interni e vitali e in particolare del parenchima-splenico e polmonare. L’attenzione dei carabinieri e del magistrato titolare del fascicolo, si è immediatamente concentrata su di Di Meo, sia perchè riconosciuto dal giovane Pennasilico come il responsabile dell’agguato, sia per le analisi fisiche del Ris di Parma sui capelli e pantaloni. Gli accertamenti hanno mostrato la presenza di particelle di residui di sparo che, per la procura, sarebbero “univocamente indicative dell’utilizzo di recente di armi da sparo, compatibili peraltro con le particelle estratte dai bossoli rinvenuti sul luogo del tentato omicidio e sulla via di fuga di Domenico Pennasilico”. Agli inquirenti, però Di Meo, durante l’interrogatorio avvenuto nel corso della notte tra il 23 ed il 24 aprile,racconta che quelle tracce erano dovute al fatto che era andato “a sparare ai caciocavalli per la Madonna di Carbonara”. Una versione che non ha convinto la procura che ha chiesto e ottenuto dal gip la misura cautelare in carcere anche alla luce delle intercettazionio telefoniche acquisite. L’indagine non può dirsi chiusa e ci sarebbero altre persone su cui sono in corso accertamenti. Il 23enne, del resto, era stato interrogato insieme al padre la notet stessa dell’omicidio.