L’ambientazione marinara del I atto cozza con partitura e libretto, mentre il secondo atto in salsa circense è risultato indovinato dal binomio Canessa-Arbetti. Di buon livello il cast dei cantanti con una agilissima Gilda Fiume tra il pentagramma e la scena. Ottime individualità nell’ orchestra diretta da Antonello Allemandi. Stasera alle ore 19, l’ultima replica
Di OLGA CHIEFFI
E’ arma nobile la Marina, nonostante i luoghi comuni sui marinai, donnaioli matricolati, rissosi, ubriaconi, sfrontati, comunque, sempre eleganti, per adattarla al XXI reggimento francese, di stanza in Tirolo. Riccardo Canessa forza il libretto, de’ La Fille du Régiment di Gaetano Donizetti, opera d’apertura della stagione lirica del Teatro Verdi di Salerno e, dopo che i richiami del corno (perfetta l’esecuzione del palermitano Antonino Alba) ci spalancano, in ogni caso la vallata alpina, con gli uccellini evocati dall’ottavino, con poca polvere in canna, dagli oboi bucolici di Domenico e Antonio Rufo, dal flauto di Antonio Senatore, ci ritroviamo tra le casse del circo “’nterra” al molo del porto di Salerno, con tanto di cime e bitte, a salutare l’entrata in scena di sei marinarette-ballerine in erba della scuola di Fortuna Capasso (Flavia Fasano, Francesca Fortini, Chloè Mounard, Giorgia Paciello, Mariami Sakhvadze e Angela Sarno) ben avvinazzate, come marinai “veri”, con tanto di bottiglie di rhum in mano, una scelta registica, a nostro parere, discutibile. Urto con il libretto e la storia che continua, con i circensi e salernitani che sostituiscono i tirolesi, la guerra evocata in orchestra e, finalmente, l’allontanamento del nemico che dà inizio ai couplet della Marquise de Berckenfield, qui padrona di un circo, affidata all’eccellente voce e, ancor più, alla presenza scenica e recitazione di Claudia Marchi. Ed ecco Sulpice, un irresistibile Filippo Morace e sua figlia Marie, una convincente Gilda Fiume. Proprio alla spigliata ed esuberante freschezza giovanile, con la favola di un idillio sbocciato nella bonaria ruvidezza di un ambiente militaresco, è improntato il primo atto dell’opera donizettiana. Perfetto il canto del paterno Sulpice, il “Rataplan” intessuto di sarcasmo, il burbanzoso intervento dei marinai, con i cappotti turchese, quasi a regalare i riflessi del nostro golfo, i quali hanno scambiato il “salernitano” Tonio per una spia, il bel tema “di ronda” intonato da Marie sul tempo di valzer viennese ad esaltare le virtù del reggimento, sino all’invenzione meravigliosa del coro come voce collettiva, allorchè i soldati decidono di far maritare la ragazza con Tonio, Shalva Mukeria, il quale esplode senza intoppi e con grande faciltà nella gioia di scrittura sopracuta. Il momento musicale più alto è stato “Il faut partir” in cui il cambiamento di climax è stato segnato dal bel suono e centrato fraseggio del corno inglese di Antonio Rufo. Un vero e proprio pas de deux, il suo con Gilda Fiume, in cui l’evocazione è quella de’ La furtiva lacrima, anche nella costruzione armonica, che dal mesto fa minore si schiarisce nel modo maggiore. Tutta la poesia del plein air svanisce nel contrasto col circo, ove Marie diventa marchesina. Qui Flavio Arbetti ha costruito un vero e proprio salotto, con cinque colori sfumati tra rombi e linee, di estrema raffinatezza. Nel secondo atto Riccardo Canessa ha dato fondo a buona parte della sua esperienza teatrale, dando luogo alla sfilata degli aristocratici con tanto di nomi dei coristi, trasposti in francese maccheronico, quasi a ricordo degli “aerostatici” di Miseria e Nobiltà, acchittati con cappelli a cilindro coloratissimi, non lontani da quelli indossati dai personaggi di Lewis Carroll. Ma si sa, ogni percorso, ogni favola resta un viaggio iniziatico. Il cambiamento di Marie marchesina passa attraverso una lezione di canto, tenuta magistralmente dalla Marchesa e da Maurizio Iaccarino in calzamaglia, e la Fiume ha lì creato il “suo” personaggio approfondendolo psicologicamente: esilarante, perfetta e convincente: tanto nei momenti elegiaci tanto in quelli comici e brillanti, la sua crisi isterica il suo muoversi barcollante sui tacchi, in confronto alla vitalità della cambusiera, hanno strappato l’applauso della platea. In “Par le range et par l’opulence – Salut à la France!” il canto di Gilda, reso malinconico dalla dorata prigionia nostalgicamente sostenuta in orchestra dal primo cello, nel circo si è specchiato nelle evoluzioni della danzatrice aerea Irene Catuogno, un mix di veli e sete su è giù per le altezze reali e musicali, mentre Fortuna Capasso, Martina Coiro, Greta Corvo, Simone Liguori, Davide Raimondo e Pierfrancesco Vicinanza coreografati da Pina Testa, hanno danzato sulle note dell’aria di Tonio “Pour me rapprocher de Marie”, ben sostenuta da Shalva Mukeria, il quale si è preso non poche libertà ritmiche, nella migliore delle tradizioni tenorili, in tutte le sue arie. Il coro maschile orfano dei suoi migliori bassi ha, comunque, portato a termine il suo compito, sempre in tiro, anche scenicamente le donne, trasformate in donnine allegre al “servizio” dei marinai, unitamente all’orchestra Filarmonica Salernitana, diretta da Antonello Allemandi, non sempre in armonia con i solisti e l’intero palcoscenico. Applausi per tutti e in particolare per i comprimari, su tutti il basso-bariton Nicola Ciancio, nei panni di un caporale e Claudio Levantino, Hortensius, insieme a Paolo Gloriante, Alessandro Menduto, Giovanni Germano e Giulia Sensati. Ultima replica stasera alle ore 19.