«Io, per gli dei, non voglio che i Galilei siano uccisi, né che siano percossi ingiustamente, né che soffrano qualunque altra disgrazia. Tuttavia affermo, senza alcun dubbio, che a loro devono essere preferiti gli adoratori degli dei, perché è a causa della demenza dei Galilei che quasi tutto è stato sovvertito, mentre è grazie alla benevolenza degli dei che noi tutti veniamo preservati. Perciò bisogna onorare gli dei, nonché gli uomini e le città che li adorano». Con queste parole, contenute nella Lettera 83 – “Ad Atarbio” – del suo Epistolario, l’imperatore Flavio Claudio Giuliano sintetizzava la sua politica, nei confronti del Cristianesimo trionfante. Ma chi era realmente Giuliano, noto come l’Apostata – “Rinnegatore della fede” – appellativo che gli fu attribuito da san Gregorio di Nazianzo (†390 d. C.)? Nato a Costantinopoli, nel 331 d. C., Giuliano era figlio di Flavio Costanzo, fratellastro di Costantino I (306-337 d. C.), il primo imperatore cristiano. Nel IV secolo, il cristianesimo era ormai diventato una religione tollerata, nell’impero, e un’autentica potenza politico-economica, grazie all’editto di Milano del 313 d. C., con cui Costantino lo aveva riconosciuto come religio licita, determinando la fine delle persecuzioni. Nel 337 d. C., morto Costantino, i figli – Costanzo II, Costante e Costantino II – ordinarono il massacro dei loro cugini e zii, tra i quali era anche il padre di Giuliano che fu inviato a domicilio coatto in Cappadocia, nella villa imperiale di Macellum. Nel 350 d. C., dopo la morte dei fratelli, Costanzo rimase solo al potere e, privo di figli, decise di puntare su Giuliano che designò Cesare – successore in pectore – affidandogli un comando straordinario sulla Gallia, col compito di combattere i Germani. Mentre sovrintendeva alle operazioni militari, Giuliano curava la sua formazione culturale, leggendo i “classici” della letteratura greco-romana e, formalmente, continuò a professarsi cristiano. Nel frattempo, maturava la sua visione del mondo pagana, permeata di senso del dovere e rispetto per la religione degli avi, grazie anche allo studio del neoplatonismo. Nel 360, quando Costanzo richiamò truppe dalla Gallia da impiegare contro i Persiani, l’esercito si ribellò e acclamò imperatore Giuliano, ma la guerra civile fu evitata, perché Costanzo morì nel 361 d. C, prima di aver affrontato il nuovo Augusto. Diventato unico imperatore, Giuliano iniziò subito ad attuare il suo programma politico attento ai bisogni delle classi sociali più basse e che si tradusse in un abbassamento della pressione fiscale e in un tentativo di calmierare il prezzo dei beni di prima necessità, mantenendoli accessibili al popolo. Il nuovo Augusto si diede anima e corpo alla politica di restaurazione degli antichi culti pagani, motivato da un sincero attaccamento alla religione dei padri e alla tradizione di Roma. Giuliano tentò di dare alla sua politica di Restauratio religiosa non solo un taglio giuridico-amministrativo, ma anche uno spessore “ideologico”, grazie al supporto della filosofia neoplatonica di cui era seguace. Questa sistemazione teorica del complesso delle credenze e dei rituali del politeismo fu dall’Augusto realizzata nella sua vasta opera letteraria che fa di lui un imperatore del tutto particolare, animato da profondi interessi culturali, e un prolifico scrittore. Tra le sue opere sono da ricordare il trattato anticristiano Contro i Galilei, l’Epistolario, le Orazioni, I Cesari e, infine, l’opera satirica L’Odiatore della barba, indirizzata da Giuliano agli Antiocheni, responsabili di aver deriso il suo look barbuto, ritenuto poco adatto ad un sovrano. Dal punto di vista legislativo, Giuliano non scatenò alcuna persecuzione cruenta contro il cristianesimo, ma si limitò a colpirne gli interessi economici e politici, privando le gerarchie ecclesiastiche dei privilegi di cui avevano goduto dall’epoca di Costantino e disponendo la riapertura dei templi chiusi, nel 356 d. C, sotto Costanzo II – ed il loro restauro, con la ripresa dei sacrifici. L’unica misura veramente coercitiva contro i Galilei fu il provvedimento di allontanamento dalle scuole pubbliche dei loro maestri e dall’attività d’insegnamento della grammatica e della retorica. Giuliano riteneva la paideia greco-romana e l’ideale antropologico che essa propugnava assolutamente inconciliabili con l’etica cristiana imponendo un unico culto – quello del loro dio – senza profanare gli antiqui ac boni mores. Nell’inverno del 362, Giuliano si fermò ad Antiochia, in Siria, dove iniziarono a convergere le truppe per la grande spedizione contro i Persiani che iniziò la primavera seguente e che l’avrebbe condotto alla morte. La monumentale figura di Giuliano ha ispirato una bibliografia sterminata – si pensi alle biografie di Joseph Bidez, Glen Warren Bowersock, Polymnia AthanassiadiFowden – alla quale, oggi, si aggiunge il lavoro di Tommaso Indelli – assegnista di ricerca presso l’Università degli Studi di Salerno – pubblicato dalle Edizioni Partenio di Avellino, che tiene conto dei risultati della più aggiornata storiografia sull’imperatore e si propone di essere un nuovo e sincero omaggio alla figura di uno dei più grandi figli di Roma.
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