Continua la nostra indagine nel mondo della musica leggera del salernitano
Di DAVIDE NAIMOLI
Mariano Cuofano alla chitarra e voce, Michele Vassallo alle tastiere, synth e sax, Francesco Chiariello al piano e Roberto Junior Spina alla batteria, sono il gruppo “A better tomorrow”. Il nome non è dei migliori, forse per pigrizia o per troppa ambizione nel trovarne uno migliore, non l’hanno mai cambiato ma ci stanno lavorando. Al di là di questo vengono da mondi musicali totalmente diversi. Ascoltiano dal prog al cantautorato, passando per il jazz e la classica. Sono tutti studenti universitari, ma la musica è la musica. Sono passati quasi due anni da quando hanno cominciato ed è forse questa la loro forza.
Qual è il vostro stile musicale e a chi vi ispirate per la vostra musica, passato e presente, i cinque dischi fondamentali del vostro gruppo.
Non esistono i generi musicali, sono solo un idea che si è pian piano diffusa tra la gente che, per necessità o magari per facilitare la comunicazione, ha dovuto dare un nome ad alcune sensazioni. Le ispirazioni sono molte, troppe.
Cinque dischi fondamentali: Wish you were here (Pink Floyd), The king of limbs (RedioHead), Storia di un impiegato (De André), Kind of blue (Miles Devis) e A sangue freddo(Teatro degli Orrori).
Il momento più intenso ed emozionante che ha vissuto il vostro gruppo.
Un momento veramente importante per noi fu quando l’anno scorso, il 27 settembre se non sbaglio, fummo chiamati ad accompagnare, nell’ambito della presentazione del suo ultimo libro, il poeta futurista/fonetico Tomaso Binga (alias Bianca Pucciarelli) , artista di spessore internazionale, la quale ci chiese di comporre per lei un suite che sposasse il carattere onomatopeico delle sue poesie. Fu in momento di rara bellezza dove musica e parole si fusero creando una suggestione di suoni, rumori e luci che avvicinò molto i presenti alla vere emozioni che sono alla base del nostro lavoro
Quali sono le vostre aspirazioni e se secondo voi era più facile avere successo oggi o in passato.
Aspirazione principale è sicuramente la pubblicazione del nostro primo disco, un traguardo che da irraggiungibile sembra ormai avvicinarsi sempre di più.
Per quel che riguarda il successo, non crediamo che ci siano maggiori difficoltà rispetto al passato: è vero che cambiano i tempi, i generi, le preferenze ma per essere apprezzati l’obiettivo principale è riuscire a trasmettere qualcosa al pubblico.
Cosa pensate del cambiamento dello stile musicale dagli anni 70-80 a quello di oggi e quando secondo voi ha vissuto il periodo migliore.
Il nostro “genere”, o principalmente quelli a cui ci ispiriamo, hanno subito dagli anni ‘90 una recessione spaventosa dovuta allo sviluppo di nuovi generi quali l’hip pop, il rap, la musica elettronica, maggiormente commerciabili grazie all’immediatezza dei messaggi e delle sensazioni che trasmettono. Sicuramente il periodo d’oro del cantautorato e del rock sono stati gli anni’70: un periodo di grande fertilità, soprattutto per il background culturale sensibilmente diverso dal nostro.
Quali sono le sensazioni ed emozioni che provate quando scrivete un nuovo pezzo e iniziate a suonarlo per la prima volta.
Scrivere un pezzo nuovo è come finire una corsa cominciata mesi prima, un brano è sempre il riassunto del nostro vissuto precedente, spesso è possibile ritrovare nel modo di interpretare l’argomento scelto nella canzone tracce di emozioni personali che magari non hanno nulla a che vedere con l’oggetto vero e proprio della scrittura. Il momento dell’arrangiamento è dunque la reazione di più pensieri, ma sarebbe più corretto dire di più sentimenti appartenenti ad anime diverse; questo genera rallentamenti, contrasti, ma è più grande delle forze.
Qual è il vostro rapporto con le altre forme artistiche e qual è il gruppo o il genere che ascoltate più lontano dalla musica che fate?
L’arte si basa di omologhi processi di espressione di tutti gli uomini, usati per descrivere il mondo e descrivere se stessi. Come ho detto prima, la nostra esperienza mi porta a dire che forse è solo nella fusione delle arti che si raggiunge il livello di intimità tale che la nostra espressione divenga realmente efficiente e guidi artista e interlocutore più vicini alla metafisica delle cose.
Qual è il messaggio che volete mandare con la vostra musica?
La canzone è un architettura di pieni e di vuoti, di lente e velocissime espressioni dell’animo, responsabile della trasmissione dei sentimenti dell’artista nell’interlocutore. Come una struttura deve sorreggere il peso della coesistenza nelle nostre impressioni con quelle della gente, una canzone deve essere un precedente un cui qualcuno possa rivedersi, senza la presunzione di insegnare o indottrinare ma solo quella di dare riparo all’emotività di ascolta. La nostra missione è dunque quella di descrivere, di ricercare le profondità dell’anima. Al fine di essere per la gente l’asilo, dove rifugiarsi dalla realtà, che solo nell’arte si ritrova che arricchisce l’uomo di consapevolezza.