Il confine tra il dovere professionale e l’interesse privato sembra essersi dissolto tra i corridoi dell’Ospedale Umberto I di Nocera Inferiore, dove un nuovo caso di assenteismo ha scosso le fondamenta della sanità locale proprio alla fine di questo 2025. Al centro dell’indagine condotta dalla Procura della Repubblica presso il Tribunale di Nocera Inferiore si trova un infermiere che, oltre a prestare servizio presso l’ufficio cartelle cliniche, rivestiva anche il delicato ruolo di rappresentante sindacale. Questa duplice veste, che in teoria dovrebbe incarnare la massima garanzia di tutela dei diritti dei lavoratori e del corretto funzionamento della macchina pubblica, è diventata invece il fulcro di un’inchiesta che ipotizza una sistematica violazione dei doveri d’ufficio. La vicenda, emersa pochi mesi fa con l’emissione di un avviso di garanzia, non rappresenta soltanto il racconto di una condotta individuale discutibile, ma apre uno squarcio inquietante sulla vigilanza interna alle strutture sanitarie e sulle possibili responsabilità dei vertici amministrativi. Le indagini, condotte con rapidità ed efficacia nel giro di un brevissimo arco temporale, hanno delineato un quadro probatorio che appare solido e dettagliato sotto ogni profilo. Gli inquirenti si sono avvalsi di una combinazione di tecniche investigative classiche e moderne per documentare i movimenti dell’indagato con precisione chirurgica. Pedinamenti costanti, intercettazioni telefoniche e riprese video hanno permesso di ricostruire una routine quotidiana ben lontana dai compiti istituzionali assegnati. Secondo quanto emerso dall’attività investigativa, il meccanismo era tanto semplice quanto audace: il dipendente si presentava puntualmente al lavoro per la rilevazione delle presenze, facendo scattare il fatidico segnale del rilevatore che attestava l’inizio del turno. Tuttavia, poco dopo aver formalizzato l’ingresso, il sindacalista si rimetteva in sella al proprio scooter per abbandonare la struttura ospedaliera. Le ore che avrebbero dovuto essere dedicate alla gestione delle cartelle cliniche venivano così impiegate per sbrigare commissioni personali, faccende private e persino per dedicarsi ai propri hobby, per poi fare ritorno in ospedale solo al momento di timbrare l’uscita. Questo comportamento, qualora venisse confermato in sede di giudizio definitivo, configurerebbe una violazione palese dell’articolo 55 quater del Decreto Legislativo 165/2001. Si tratta di una norma introdotta dal legislatore con l’obiettivo specifico di contrastare con estrema fermezza il fenomeno dei cosiddetti furbetti del cartellino, prevedendo il licenziamento disciplinare nei casi di falsa attestazione della presenza in servizio. La gravità della condotta ipotizzata non risiede solo nel danno economico diretto arrecato all’amministrazione, ma anche nel vulnus profondo inferto al rapporto di fiducia tra cittadino e istituzione sanitaria. In un momento storico in cui la sanità pubblica soffre per la carenza cronica di personale e per le lunghissime liste d’attesa che affliggono i pazienti, la notizia di un dipendente che elude i propri obblighi per fini personali scatena un’inevitabile ondata di indignazione sociale, specialmente quando il protagonista è un soggetto investito di responsabilità sindacali. Tuttavia, l’aspetto più critico e attuale di questa complessa vicenda non riguarda soltanto le presunte malefatte del singolo, quanto piuttosto l’apparente e inspiegabile inerzia dell’Azienda Sanitaria Locale di Salerno. L’Asl salernitana è stata ufficialmente indicata dalla Procura come parte offesa nel procedimento, un ruolo che le conferisce non solo il diritto di essere risarcita per i danni subiti, ma anche il dovere morale e legale di procedere con rigore sul piano disciplinare interno. Eppure, nonostante siano trascorsi oltre trenta giorni dalla notifica formale degli atti e dell’avviso di garanzia, sembrerebbe che l’ente non abbia ancora attivato alcun iter sanzionatorio nei confronti dell’infermiere. Questo silenzio amministrativo risulta ancora più assordante se si considera che la normativa vigente impone tempi certi e procedure rapide per la contestazione degli addebiti, specialmente in presenza di prove documentali così schiaccianti come quelle raccolte dalle forze dell’ordine durante i mesi di sorveglianza. L’immobilismo dell’Asl di Salerno non è privo di pesanti conseguenze giuridiche per chi detiene ruoli di comando all’interno dell’organizzazione. Le riforme del pubblico impiego degli ultimi anni sono state estremamente chiare nel delineare le responsabilità dirigenziali in materia di vigilanza. I dirigenti che, pur essendo a conoscenza di fatti penalmente rilevanti o di gravi violazioni dei doveri d’ufficio da parte dei propri sottoposti, omettono di attivare il procedimento disciplinare entro i termini perentori stabiliti dalla legge, rischiano di incorrere a loro volta in sanzioni pesanti. Si profila infatti una precisa responsabilità dirigenziale per omesso adempimento degli obblighi d’istituto, che può tradursi in una sanzione amministrativa o, nei casi più gravi, nella rimozione dall’incarico per inadeguatezza. Ma il rischio più concreto e temuto per la dirigenza è quello legato al danno erariale. La Corte dei Conti, infatti, è chiamata a vigilare su queste situazioni con estremo rigore: la mancata sospensione o il mancato licenziamento di un dipendente che continua a percepire lo stipendio senza prestare attività lavorativa configura uno spreco di risorse pubbliche di cui potrebbero essere chiamati a rispondere, direttamente con il proprio patrimonio personale, i dirigenti ritenuti negligenti o omissivi. La partita giudiziaria si sposterà ora formalmente nelle aule di tribunale, con l’udienza già fissata per febbraio 2026. In quella sede, l’Asl di Salerno avrà l’opportunità di costituirsi parte civile per chiedere il ristoro dei danni subiti, sia sotto il profilo strettamente patrimoniale che sotto quello, altrettanto rilevante, dell’immagine pubblica. Resta però il forte dubbio sul perché, a livello amministrativo interno, tutto sembri ancora fermo al punto di partenza. La mancata attivazione delle procedure di sospensione cautelare, che dovrebbero scattare quasi automaticamente in casi di “truffa del cartellino” così ben documentati, solleva interrogativi inquietanti sulla catena di comando e sull’effettiva efficacia dei controlli interni presso l’ospedale Umberto I di Nocera Inferiore. È plausibile ipotizzare che la duplice natura del dipendente possa aver generato una sorta di timore o di cautela eccessiva da parte della dirigenza, ma la legge italiana non prevede deroghe o trattamenti di favore basati sull’appartenenza a sigle di categoria o ruoli di rappresentanza. L’opinione pubblica nocerina e l’utenza dell’intero agro sarnese-nocerino chiedono oggi trasparenza, equità e fermezza. Non è più accettabile che le inchieste giudiziarie procedano con la dovuta celerità, mentre i provvedimenti amministrativi restino impantanati nelle paludi della burocrazia o, peggio ancora, in una forma di silenziosa protezione. La vicenda del sindacalista dell’ufficio cartelle cliniche rappresenta un test cruciale per la credibilità della gestione sanitaria dell’intera provincia salernitana. Se l’ente non dimostrerà di saper reagire con la dovuta severità a episodi di tale gravità, il rischio concreto è quello di alimentare una cultura dell’impunità che finisce per penalizzare ingiustamente la stragrande maggioranza dei dipendenti ospedalieri che prestano servizio con dedizione, onestà e spirito di sacrificio. Il tempo scorre inesorabile e la data dell’udienza si avvicina: sarà quella l’occasione definitiva per capire se la giustizia farà il suo corso non solo per punire il presunto trasgressore, ma anche per accertare eventuali omissioni ai vertici dell’azienda sanitaria. Nel frattempo, l’ospedale di Nocera Inferiore continua a restare sotto i riflettori della cronaca per motivi che nulla hanno a che fare con l’efficienza delle cure o l’eccellenza clinica che pure la struttura è in grado di esprimere. La speranza è che questo caso possa fungere da catalizzatore per una riforma profonda dei meccanismi di monitoraggio e per una riaffermazione solenne dell’etica del lavoro nel settore pubblico. La tutela del malato e del cittadino passa inevitabilmente anche attraverso la correttezza di chi lavora dietro le quinte, negli uffici amministrativi, dove ogni cartella clinica non gestita rappresenta un potenziale ritardo nel percorso di cura e ogni ora di lavoro sottratta è un furto alla collettività intera. La responsabilità è ora interamente nelle mani dei dirigenti dell’Asl, chiamati a scegliere tra il rigore della legge e un silenzio che potrebbe costare molto caro, non solo in termini economici, ma soprattutto in termini di fiducia dei cittadini verso le istituzioni dello Stato. e.n





