Irene Sarno
Cinquant’anni, per un politico, non sono un traguardo: sono un punto di osservazione. Mara Carfagna li festeggia con un’intervista su “Repubblica” in cui rivendica di avere “smentito i pregiudizi” e di sentirsi oggi “più solida”. È una frase che le somiglia: misura, garbo, un gusto per la compostezza che in Italia è merce rara. Nel racconto c’è il Berlusconi “sempre leale e riconoscente”, c’è Draghi che “ti faceva sentire alla pari”, ci sono perfino i gesti personali, come i messaggi di Meloni per la nascita di sua figlia, a ricordare che la politica, quando è fatta bene, non è solo ruoli e schermaglie, ma anche relazioni e rispetto. Eppure i compleanni, come la politica, hanno anche la crudeltà dei bilanci. E il bilancio di Mara Carfagna dice una cosa semplice: la sua forza cresceva quando era dentro un progetto grande e riconoscibile; si è assottigliata appena ha deciso di misurarsi da sola, fuori dall’orbita di Berlusconi. Nel bene e nel male, quel rapporto era un acceleratore: le aprì porte, le diede un perimetro e, soprattutto, un “peso” che non si improvvisa. Da quando lo ha lasciato, la parabola si è fatta più irregolare, come accade a chi scambia la libertà per la somma di piccoli approdi. Prima Azione, con l’illusione di una “terza via” che in Italia dura quanto un titolo di giornale. Poi l’abbandono di Calenda e l’approdo da numero due di Lupi, in un partito che stenta a raggiungere l’1%: una scelta che voleva essere stabilità e rischia di diventare invisibilità. Nel frattempo, come un pifferaio magico al contrario, ha trascinato fuori dalla scena politica anche molti dei suoi: discepoli, amministratori, “fedelissimi” che senza un progetto robusto si sono dissolti, uno dopo l’altro, nel rumore di fondo. Ed è qui che sta il rimpianto politico più grande: Carfagna, per storia e profilo, avrebbe potuto essere una cerniera vera. Un ponte tra il centrodestra di governo e quel riformismo liberal-democratico che Calenda ha provato a interpretare. Un ruolo prezioso, persino strategico, perché in tempi di polarizzazione i ponti valgono più dei megafoni. Invece ha scelto la strada dei passaggi e dei “nuovi inizi” che, in politica, spesso non sono rinascite ma archivi. E poi c’è la ciliegina, raccontata con leggerezza: il desiderio di candidarsi alla Presidenza della Regione Campania. Ambizione legittima, per carità. Solo che bisognerebbe anche ricordare, senza offesa, ma con un minimo di memoria, il risultato alle regionali del partito di cui è segretaria nazionale: in altre stagioni, dopo una prova del genere nel suo territorio, un segretario nazionale avrebbe consegnato le dimissioni con la stessa eleganza con cui si consegna un mazzo di fiori. Oggi invece si festeggia e si rilancia. Segno dei tempi che cambiano: una volta si perdeva e ci si interrogava; oggi si perde e ci si candida. Sarà la modernità, o forse è solo la politica che ha smarrito il senso della misura. Detto questo, auguri sinceri, Mara Carfagna. Che i cinquanta siano davvero l’età della solidità personale, come lei dice, e magari anche dell’ultima scelta politica giusta: quella che non si fa per galleggiare, ma per contare.





