Nel suono del violino di Maxim Vengerov - Le Cronache Spettacolo e Cultura
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Nel suono del violino di Maxim Vengerov

Nel suono del violino di Maxim Vengerov
Di Olga Chieffi
 
Il teatro Verdi di Salerno, la sua direzione del binomio Oren-Marzullo, farà un regalo prezioso, questa domenica, alle ore 18, al suo pubblico, donando il concerto di uno dei musicisti più prestigiosi a livello mondiale, Maxim Vengerov, l’israeliano di origine e scuola russa, che eleverà il suo Stradivari ex Kreutzer del 1727, in duo con la pianista kazaka Evgenia Startseva. Per il pubblico salernitano, il violinista ha scelto di principiare il suo récital con Franz Schubert, Sonata per violino e pianoforte, Op. 137 n. 3, Sol minore, D. 408. Le tre Sonate per violino e pianoforte op. 137 (in re maggiore, in la minore e in sol minore) furono scritte da Schubert fra il marzo e l’aprile del 1816 e pubblicate da Diabelli a Vienna nel 1836, otto anni dopo la prematura morte del musicista. Esse sono conosciute anche con il titolo di Sonatine, forse per la loro brevità, anche se stilisticamente sono un saggio di abilità nello sfruttamento delle risorse timbriche ed espressive dei due strumenti. L’ultima delle tre sonate, in sol minore, è quella che più palesemente rimanda alla produzione matura di Schubert. Il brano si distingue per la tendenza a una melodia cantabile, i repentini passaggi tra minore e maggiore, e il tentativo di superare le rigide strutture della forma-sonata adottando una logica paratattica anziché elaborata. Questi elementi caratterizzano l’Allegro giusto che apre l’opera. La sezione centrale dell’Andante si apre invece a territori armonici imprevedibili. Il finale, dopo un minuetto più convenzionale, si sviluppa secondo la forma-sonata, con una ripresa alla sottodominante, procedimento tipico di Schubert “di intrattenimento”. Il percorso complesso del movimento, iniziato da una malinconica melodia in sol minore, si conclude brillantemente in sol maggiore, rappresentando una chiara concessione al gusto leggero e disimpegnato della musica di consumo. Si continuerà con la Sonata per violino e pianoforte, op. 134 di Dmitrij Šostakovič, il quale ne iniziò la composizione nell’agosto del 1968 e la inviò all’amico David Oistrach, alla quale era dedicata, nel novembre di quello stesso anno. È l’epoca della repressione brutale della primavera di Praga con i carri armati sovietici, di cui spesso si cerca traccia nelle composizioni di quel periodo, rischiando così di attribuire un ingiustificato valore politico, di protesta, da oppositore, o di resa, da sconfitto, a seconda dei punti di vista, al dolore e all’asprezza della musica. Per quella fisica leggiamo  Sviatoslav Richter che  ricorda la prima esecuzione della sonata da lui effettuata insieme a Oistrach nel maggio 1969: “È un documento: la prima esecuzione di questo notevole lavoro che tuttavia, devo confessarlo, non è particolarmente vicino al mio cuore e che, per conseguenza, non mi era riuscito facilmente durante le prove. Tuttavia, la première ebbe luogo. Il successo fu enorme, e Šostakovič, venuto a salutare sulla scena, ci mormorava, perché aveva paura di cadere camminando: “Temo lo scandalo… Voi capite? Lo scandalo”». Temeva, non la censura, ma di cadere a causa delle sue gambe malferme. Segni di grandezza e di fragilità che affiorano anche da questa sonata, che, come si vede, lasciò interdetto persino Richter. È una musica che non attenua in alcun modo l’amarezza di cui è intrisa. Šostakovič la esprime con perfetto dominio dei propri mezzi, ma senza rigori formali. Lo scopo non è intellettualistico, ma espressivo: è con la lingua del proprio tempo, e non solo, a giudicare dalle suggestioni barocche della passacaglia, che egli comunica a chi ascolta il proprio disagio esistenziale e la propria scontentezza di uomo. Libertà e sincerità espressiva caratterizzano questa aspra musica. La serialità è presente nell’Andante iniziale e nella passacaglia del terzo tempo, ma non è sviluppata secondo la tecnica dodecafonica e serve piuttosto per dare un carattere espressivo alla melodia, così si ha un’impressione di incompletezza. Nel primo movimento essa è rafforzata dall’oscillazione del tempo, che crea indeterminatezza ritmica. L’Allegretto è una sorta di frenetico moto perpetuo, incerto dal punto di vista tonale e stridente dal punto di vista timbrico. Di nuovo, nelle variazioni del finale di passacaglia, la serialità del tema è aliena da ogni rigore formale e si propone invece di allargare il campo tonale della composizione e di dar rilievo alla melodia. Gran finale con l’esecuzione della Sonata n. 3 in re minore per violino e pianoforte, op. 108 di Johannes Brahms, la cui composizione dedicata ad Hans von Bülow, impegnò l’autore per circa due anni e nonostante l’affermazione di Massimo Mila che “nobile compostezza formale ed affettuosa intimità espressiva si pareggiano nelle tre Sonate per violino e pianoforte” questa pagina ci offre una pienezza di suono diversa dall’intimismo delle precedenti. L’uso moderato del contrappunto e il grande virtuosismo del pianoforte apparvero alla critica un “cedimento” del compositore, che fu accusato di ricercare elementi più esteriori e d’effetto, ma non si può non osservare la felice creatività della linea melodica. Del resto, come spesso accade nella musica di Brahms, il fascino del lavoro sta nella variazione e nella permutazione del materiale tematico, apparentemente inesauribile.