Antonio Manzo
Processo falesia di Camerota non si è costituita Giorgia Meloni, né il Governo. Né i ministeri dell’ambiente, della cultura e l’avvocatura dello Stato. Ieri al tribunale di Vallo della Lucania il giudice Vincenzo Pellegrino ha chiuso le costituzioni di parte civile dopo aver registrato le volontà del Governo. E, onde evitare la prosecuzione del rituale processuale, ha rinviato l’udienza dibattimentale per il sindaco di Camerota Mario Giuseppe Salvatore Scarpetta al 4 novembre prossimo. “Amarezza” è stata espressa dal comitato “per un Comune migliore” presente in giudizio rappresentato dall’avvocato Gaetano Di Vietri, apprezzato penalista di Vallo della Lucania. Sarà in quella data che il giudice Vincenzo Pellegrino dovrà invitare il Pm a riformulare l’imputazione limitata al disastro ambientale per la devastazione della falesia con tutte le circostanze aggravanti oltre che la presunta correità di altri soggetti non identificati, a partire dai responsabili unici dei procedimenti di rimozione della costa, nonostante il divieto della soprintendenza alla belle arti per fermare i lavori, oltre che annullare la consulenza tecnica d’ufficio disposta dalla Procura che sarebbe stata effettuata non in contraddittorio dalle parti deputate al controllo per legge. A palazzo Chigi non intendono più vederci chiaro nella distruzione della costa cilentana con la falesia distrutta dal tritolo. Così come era intenzione di Palazzo Chigi a maggio scorso quando Giorgia Meloni volle vederci chiaro sull’approvazione del progetto definitivo per il risanamento del costone roccioso della strada cilentana di Camerota. E chiese al ministro per la Cultura di attivare i suoi uffici per conoscere i dettagli del progetto sul risanamento idrogeologico del costone roccioso che ha anche distrutto un tratto naturalistico della costa con la falesia. Dal ministero di Giuli si erano già opposti alle determinazioni della conferenza di servizi del comune di Camerota a seguito dell’approvazione del progetto definitivo sul Ming ardo, a metà strada tra le località̀ di Marina di Camerota e Palinuro, con una procedura di continua “somma urgenza” (cioè senza alcun appalto della Provincia) della rimozione di un serio pericolo per i turisti e i cittadini. Spiegano gli ambientalisti: la falesia compromessa dall’azione del Comune di Camerota era formata da coltri franose al piede che proteggono il costone, compostesi in millenni. Il comune di Camerota, rilevò a dicembre 2022 la presenza di massi pericolanti, ed avviò una procedura di “somma urgenza” informando la prefettura, ma non l’Ente Parco Nazionale del Cilento, né la soprintendenza, e iniziò a marzo 2023 l’asportazione, facendo uso di esplosivi, di centinaia di metri cubi di roccia appartenente a un’antica frana che costituiva in effetti la difesa e l’equilibrio di tutta la soprastante falesia. Nella udienza di ieri si è costituito il Parco Nazionale del Cilento dando incarico ad un legale esterno alla struttura senza impegnare gli uffici legali dell’ente. È il maggio del 2023 quando il sindaco di Camerota riprese i lavori di brillamento di esplosivi ( ben 30 kilogrammi di tritolo) portando a termine il lavoro degli esplosivi e una devastazione che deturpa un pezzo di costa del valore straordinario. L’opposizione del ministero della Cultura scattò dopo la conferenza di servizi, aprile 2025, nella quale la soprintendenza espresse sul progetto un parere istruttorio negativo (partecipò fra mille incomprensioni e minacce ben mirate una giovane funzionaria della soprintendenza). L’impresa di Giovanni Di Mauro, esecutrice dei lavori, portò a termine di lavoro di brillamento smaltendo le pietre per la costruzione del porto di Santa Marina di Policastro e lo sgombero del materiale roccioso che determinò un area parcheggio a servizio del lido balneare di Camerota di proprietà Santucci. Ma fu proprio l’Avvocatura dello Stato che, nel giugno scorso, con un ricorso al Tar sul risanamento del costone roccioso presentò un articolata relazione a firma dell’avvocato dello Stato Maria Elena Caprio. La funzionaria dello Stato smascherò con le parole di un ricorso, testualmente, le “modalità scorrette” del comune di Camerota nella distruzione della falesia ma soprattutto con la somma urgenza. Sarebbero bastate le dodici pagine dense dell’Avvocatura dello Sato per indurre la procura della Repubblica di Vallo della Lucania ad arricchire la ipotesi di reato per il sindaco Scarpitta. Resta la relazione dell’Avvocatura a margine del processo ma non la costituzione di parte civile vietata dal Governo.





