Il ricordo del prof Luigi Reina - Le Cronache Attualità
Attualità Salerno

Il ricordo del prof Luigi Reina

Il ricordo del prof Luigi Reina

Rino Mele

Mentre intorno a noi diluvia la morte, nella rappresentazione del nostro inconscio – in quel buio caldo in cui incontriamo la lunga fila di madri da cui deriva la nostra vita, e il respiro – c’è un posto vuoto, come ci ricorda Freud, ed è proprio il posto della nostra morte. Per la parte più profonda di noi la morte appartiene solo agli altri: mentre noi non accettiamo di anche come non fossimo mai nati. La nostra coscienza, invece, non può, sul suo schermo, non registrare la morte degli altri come nostra: quando qualcuno muore, non sappiamo sottrarci alla sensazione aspra e ostile che quella morte ci appartenga, e ci spinge nel vuoto dove, disorientati, cominciamo a cadere. Ieri è morto l’amico Luigi Reina. L’ho conosciuto all’Università di Salerno, insegnava Lingua e Letteratura italiana, aveva un pudore e una dolcezza rari nell’Istituzione universitaria in cui prevalgono il gioco della predazione e il teatrale lamento. Lui invece aveva il dono, e la necessaria pazienza, di ascoltare tutti con estrema attenzione e di non partecipare ai presuntuosi tornei di superbia che l’Università, per sua cattiva natura, tende a promuovere. La sua maggiore virtù era quella di aver gioia nel riconoscere il valore culturale in chiunque ne possedesse la luce, e di esaltarlo. Una delle ultime volte, ma sono già passati alcuni anni, discutemmo di una luminosa metafora che avevo incontrato nel “Diario” di Corrado Alvaro. Non potrò mai più parlare con lui. Ora è nel grande fiume: noi crediamo di essere ancora sulla riva. È difficile parlare di chi non c’è più (con chi non c’è più), improvvisamente è troppo lontano. Tutto diventa bianco, e al posto della vita resta come un dolore.