Olga Chieffi
I suoni ci attirano verso ciò che sopravvive e persiste come risorsa culturale e storica, capace di resistere, turbare, interrogare e scardinare la presunta unità del presente. Continuiamo la nostra riflessione sul bisogno umano del rito (è rito anche questo nostro scrivere in occasione delle celebrazioni del Santo Patrono) in una fase di eterno cambiamento, con i suoni di San Matteo. Aria di festa per la città a cominciare dalla mattinata quando si è risvegliati dalle marce eseguite dalle bande, in giro per il corso Vittorio Emanuele, intrattenendo i salernitani già pronti per ascendere in duomo e partecipare al Solenne Pontificale. Tre le formazioni al seguito delle cosiddette paranze, a cominciare dal Concerto Bandistico “Città di Pellezzano”, agli ordini del Maestro Giuseppe Genovese, quindi, il Corpo Bandistico “Lorenzo Rinaldi” di Giffoni Valle Piana, diretta dal Maestro Francesco Guida e a chiudere la sfilata il lo storico Gran Concerto Bandistico “Città di Salerno” con Rino Barbarulo. Sorpresa quest’anno per la paranza di San Matteo, che non è la statua più pesante, che sappiamo essere quella lignea di San Giuseppe, la quale avrà i ragazzi di PercussionAmo, del Maestro Gerardo Sapere, che uniranno alla sacralità dei tamburi da parata le trombe egizie, pensate per la scena trionfale che chiude il secondo atto dell’Aida. Nel calore della controra, si potrà assistere all’assestamento delle bande, qualche suono, qualche marcia, la cura della divisa, coi ragazzi che si riuniscono tra Palazzo Sant’Agostino e la piazzetta della chiesa di Santa Lucia. Alla processione di San Matteo, dal punto di vista musicale, nessuno vuol mancare è l’ultima grande vetrina della stagione, anche se, purtroppo, non si tiene più il servizio di piazza, che pur impegnerebbe quelle due ore da trascorrere dal termine della processione allo spettacolo dei fuochi pirotecnici. Il rito è quello della Banda Città di Salerno, che si inquadra in Piazza Amendola, che era sede dei grandi concerti delle Bande militari ospiti in città per la festa del Santo Patrono, quindi, risale per il centro storico, suonando in piazza Largo Campo e guadagnando, percorrendo Via delle Botteghelle, Piazza Abate Conforti. Lì si continuerà a provare a scegliere le marce da eseguire prima dell’ inquadramento, per poi raggiungere piazza Alfano I e conquistare il palcoscenico con una breve esibizione, prima di entrare in atrio e prendere posto nello schieramento. E’ questo percorso, quel ponte che lega la banda alla festa di cui tutti narriamo, ovvero le processioni di quei mitici festeggiamenti patronali del secolo scorso, ospitanti un’unica banda, una formazione d’ eccezione, quella dell’ Istituto Umberto I, il Serraglio, che schierava tra le sue file gli insegnanti e i migliori allievi della prestigiosa Scuola di Musica, entrando in via Duomo proprio scendendo da Via de’ Rienzi, con ultima tappa dinanzi al Convitto Nazionale, ricevendo poi l’abbraccio dell’ intera città. Per la banda del “Serraglio” era un onore sfilare e si preparava scrupolosamente nella celebre “villetta”, per studiare il passo, dare lo “spolvero” a particolari marce richieste dai portatori, quali Creola, una marcia briosa in 6/8 composta dal M° Gaetano Savo, che ben si adattava ai passi corti dei portatori di S.Giuseppe e S.Matteo, gravati dal grande peso delle statue, oppure Rinascita una maestosa marcia sinfonica. I ricordi di quella formazione leggendaria, ci sono stati donati dai maestri che oggi insegnano, hanno concluso la loro carriera in conservatorio, o che ci hanno già lasciato fisicamente, consegnandoci il loro patrimonio di saperi, unitamente all’onore e l’onere, un piacere misto, per dirlo con l’Aristotele dell’Etica Nicomachea, fatto di amicizia, pathos e nostalgia per la loro assenza, ma che il nostro racconto e i suoni antichi fanno rivivere, Antonio Marzullo, Domenico Giordano, Domenico Procida, Antonio Florio, Alberto Moscariello, Raffaele Pastore e tanti altri “…c’erano due bande, quella dei grandi, già avviati al professionismo ed una dei piccoli formata dagli allievi delle scuole elementari e medie. Per San Matteo le due formazioni si univano ed ecco la celebrata banda dell’Orfanotrofio di quasi 70 elementi. I più piccoli avevano il compito di lustrare gli ottoni, i bottoni delle divise e le scarpe, quindi con gli stracci sporchi di cromatina e Sidol, si presentavano tutti in calzoleria per farle incollare col mastice e, così, con quella palla di stracci si poteva finalmente giocare a pallone nella villetta. Il commendatore Alfonso Menna, allora sindaco di Salerno, teneva moltissimo alla banda e guai se un basso tuba o una tromba non brillava: gli strumenti erano dono degli imprenditori salernitani, quindi si doveva dare l’impressione che fossero tenuti perfettamente. La mattina del 21, poi, tutti coloro che avrebbero suonato, a colazione accanto alla solita ciotola di latte e pane, trovavano lo zabaione e, la sera, al ritorno dalla “folle journée”, che prevedeva matinée, processione e concerto in piazza la sera, la fetta di carne e il dolce. Si provava tutto, anche come si doveva sfilare, ben inquadrati, e ogni San Matteo veniva composta una marcia nuova, tenuta segretissima sino a pochi giorni prima”…..Niente è più evocativo nella ritualità della festa, di un paesaggio acustico, poiché dai suoni trapelano storie, con la loro densità affettiva e la loro costitutiva eccedenza rispetto al tempo e ai luoghi che saranno per sempre la nostra identità e memoria.





