Salerno Letteratura, fasto del potere e diversivo per una città senza voce - Le Cronache Ultimora
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Salerno Letteratura, fasto del potere e diversivo per una città senza voce

Salerno Letteratura, fasto del potere e diversivo per una città senza voce

di Malatesta

 

Che ne sarà tra qualche mese della retorica democratica, negatrice di ogni sapere, quando calerà una pesante – e ci si augura definitiva – saracinesca sul regime deluchiano che ha aperto per più di un trentennio voragini tra chi si esprime (il potere) e chi ascolta (il popolo), tra chi agisce e chi è inerzialmente guidato, quest’ultimo ormai disabituato dall’esercitare qualsiasi autocritica? Non è soltanto un interrogativo seduttivo e recriminatorio, ma un tema che sollecita lo sguardo sul futuro e una riflessione sulla politica e su quanto si muove intorno ad essa (o, peggio, è da essa condizionato), una sorta di “teatrocrazia” insediatasi nella città di Arechi, con la mente che va a quella decadenza di cui parla Platone nelle Leggi.

 

Non c’è più narrazione

antagonista al potere

 

Il richiamo a Platone, a Socrate e alla filosofia greca in genere, può apparire peregrino ma non lo è. Si può essere vittima di una maggioranza che sbaglia (“caso non inusuale durante la dittatura fascista”, sostiene il professore Luciano Canfora), perché essere in molti non significa essere nel giusto. E a Salerno, negli ultimi trent’anni, il concetto di maggioranza è stato il più artificiale di tutti, così come il diritto è assurto al rango, direbbe Louis Blanc, di “malinteso fondamentale”. È come se il racconto della città si fosse interrotto più di trent’anni fa, deprivato della sua forza narrativa, compresso nella sua estensione temporale, mutilando il pensiero collettivo di tutta la ricchezza che risiede in ciò che è da venire. Mentre un tratto della cultura contemporanea è costituito dall’abbattimento della lontananza, per cui ciò che si dice in un attimo porta e comporta storia (o, più correttamente, recupera e rilancia storie personali), nella città del vecchio politico divenuto il più fantozziano dei raìs nell’indifferenza plaudente delle nuove folle fameliche, si è verificato il fenomeno inverso. Non è il narratore l’antagonista del potere, ma è quest’ultimo che, nascondendo realtà e verità, parla, mutila, nasconde, enfatizza e simula il racconto che manca, irrobustendo quotidianamente la retorica democratica, alla cerca di clientes.

 

Finanziamenti amichevoli

per cartelloni ripetitivi

 

È così che la cultura e la letteratura sono diventati i segmenti mossi con abilità all’interno di un percorso informativo sollecitato, attraverso i finanziamenti indiscriminati e arbitrari, da un potere allo stremo. Le storie e i racconti vengono da lontano, dall’anima della città e dei territori. L’informazione, soprattutto quella pilotata e finalizzata al consenso, restringe al contrario l’elemento spazio-temporale e tenta l’avvitamento popolare come inevitabile forza del destino. Nessuna aura narrativa, ma solo la grevità di messaggi astrusi e misterici dotati di un artificioso effetto-esca.

 

Temi depistanti

pensati per il raìs

 

L’esempio più eloquente di questa degradante conversione è costituito dal tema di fondo della nuova edizione di Salerno Letteratura (una spruzzatina poetante di Francesco De Gregori e un rovello antico del dualismo cultura-potere), rassegna maturata con l’elargizione di tanti soldi prodotti dal ventre molle e prolifico del potere deluchiano, lontana dall’ascolto della città, replica sgradevole di decine di iniziative già esistenti in Italia, queste ultime – contrariamente a Salerno –  con un legame fortissimo con i territori di appartenenza al punto da essere, in prevalenza, sostenute quasi interamente da sponsor che “investono” in cultura. Rassegna affidata, questa salernitana, sia pure con la “copertura” di due operatori interni alla cultura del pensiero e alla letteratura, a una gestione familiare incapace di cogliere anche solo il ronzio della sensibilità culturale ed etica di una città rimasta estranea, con la sua storia, alla ideazione della kermesse, soprattutto dopo la morte prematura del primo direttore artistico, Francesco Durante.

Il potere gioca così la sua partita in maniera del tutto incontrollabile: fondi assicurati dal denaro della collettività, senza alcuna preventiva valutazione progettuale del disegno realizzativo; indiscriminate reti di colleganza con strutture anche accademiche, mobilitate esclusivamente ai fini della performance e senza alcun apporto ideativo, adesioni improvvisate con qualche scuola o con fantasmi dell’intellettualità locale, ma soprattutto un evento varato senza una disincantata valutazione del principio ispiratore che dovrebbe essere portante. Non è pensabile una rassegna che non si ponga l’obiettivo di costruire, cioè, attraverso la cultura, un evento ispirato alla democrazia partecipativa, da rianimare nel tempo del pensiero unico e della letteratura vissuta solo come fenomeno performativo o di mercato. Se io organizzo la presentazione di un libro, ho proposto alla città una presentazione di un libro. Se promuovo in sette giorni cento presentazioni di libri, tenute insieme da un tema artificioso e traballante, ho proposto centro presentazioni di libri, niente altro.

 

Nessuna intelligenza

nelle programmazioni

 

La natura dell’intrapresa non cambia se non c’è un’idea, un focus da cui originino gli eventi. Idee che, altrove, ispirano le scelte, tengono alta la bandiera della tematicità e soprattutto rafforzano, ad ogni edizione, il legame forte con le sensibilità di un’utenza che andrebbe preventivamente individuata, definita e compresa. È nell’interesse delle utenze che si opera, non dei disegni o della tasca di chi “commercializza” gli eventi.

Gli orientamenti colti sono stati alla base del successo di iniziative simili varate in altre parti d’Italia, anche al Sud. Piccoli Comuni di pescatori oggi vivono di scambi culturali per l’intero anno, mediati da Università e comitati scientifici autorevolissimi; in paesi dove i pescatori annodavano le reti sono nate librerie, centri di lettura, aree per la promozione della cultura locale. Basta andare su Internet e verificare, anche indirettamente, il vuoto progettuale di una rassegna come quella salernitana, frutto di un decennale e disperato tentativo di restaurazione di un potere ansimante, capace soltanto di una feconda “impurità” democratica. Perciò, il tema della letteratura come contropotere non è una prospettiva credibile, piuttosto appare come la pagina finale di un ancien règime che gioca a nascondino con sé stesso.