Arresto Cagnazzo, giustizia errata - Le Cronache Ultimora
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Arresto Cagnazzo, giustizia errata

Arresto Cagnazzo, giustizia errata

Antonio Manzo

Il ritorno alla libertà del colonnello dei carabinieri Fabio Cagnazzo, accusato sei mesi fa e arrestato per aver deviato le indagini sull’omicidio di Angelo Vassallo, quindici anni fa, potrebbe far scatenare un’ondata di sdegno, commenti feroci, e la riproposizione mediatica delle tappe di una pagina drammatica di un omicidio che non ha ancora avuto l’esecutore del delitto e, probabilmente, i mandanti. Sarebbe quasi naturale provare, dopo i mesi di carcere per l’ufficiale dei carabinieri, un moto istintivo di indignazione su una vicenda di cronaca nera che ha segnato la storia italiana e che ha visto coinvolto un alto ufficiale dell’Arma, stimato per il suo lavoro anticamorra in lunghi, difficili anni di investigazione e di successi. Però a un certo punto i sentimenti istintivi, umani e bestiali, al Tribunale del Riesame ieri hanno dovuto lasciare il passo ai princìpi dello stato di diritto e a tutti quegli elementi che la Corte di Cassazione ha voluto ricordare ai giudici salernitani per consentire loro di rispettare i principi dello Stato di diritto. Non è stato una inedita scenografia processuale con la presenza personale, in aula, del procuratore della Repubblica Giuseppe Borrelli che aveva avallato le indagini del suo ufficio sul colonnello dei carabinieri Fabio Cagnazzo. È stata una presenza che ha significato l’ammissione di una giustizia errata ma non vendicativa, al punto che lo stesso procuratore della Repubblica ha chiesto la revoca dell’ordinanza di custodia cautelare per Fabio Cagnazzo. Senza alcuna esibizione di concezione vendicativa di giustizia con quel “buttare via la chiave” e in cui chi governa e rappresenta la giustizia filma a scopo propagandistico i detenuti o, troppo spesso, i presunti colpevoli prima delle condanne con prognosi colpevoliste abborracciate a buon mercato mediatico. Ma rispondere alla barbarie del delitto del sindaco Angelo Vassallo con una giustizia barbarica non può essere la via di scampo per recuperare i lunghi ritardi investigativi con molte falle e tanto lavoro, fino alla clamorosa archiviazione per il primo imputato dell’omicidio Umberto Damiani. La sentenza del tribunale del Riesame di ieri resetta l’inchiesta giudiziaria e la fa ripartire senza le estreme conseguenze di un processo anche mediatico, con la mostrificazione dell’autore del reato spesso abbinato alla degenerazione politica che territorialmente avrebbe favorito l’omicidio del sindaco. Si è partiti quindici anni fa con un imponente e indimostrato parallelo tra un indefinito cosiddetto “sistema Cilento” e la certezza di una tragedia di un uomo ucciso da nove colpi di pistola, sottratto alle istituzioni, ma soprattutto, alla famiglia. Cade, ieri, così la prima “verità mediatica” costruita dalla sofferenza che accompagna sempre un dramma con la classica conseguenza di generare nell’opinione pubblica un diffuso sentimento di voluta ingiustizia o di barbarica giustizia. Tutta l’indagine, ormai, ricomincia dopo quindici anni alla luce del sole con la certificata sconfessione dei pentiti, la indimostrata partecipazione di fette del paese di Acciaroli nell’omicidio del suo sindaco, perfino ora con la condanna di una attività investigativa compiuta con intercettazioni a raffica spesso condotte a “strascico”, coinvolgendo soggetti del tutto estranei. Ora non ci sono più filtri. Gli errori giudiziari nel caso Vassallo si sono infittiti dopo depistaggi non ancora individuati, concretizzatisi perfino con le assurde accuse alla famiglia di abusi edilizi sull’unica fonte di reddito familiare, un ristorante. Famiglia prima mascariata e poi assolta. E l’errore di inquirenti partiti da tesi precostituite, innamorati delle proprie idee anziché vagliare tutte le ipotesi sull’omicidio perfino quella passionale che avrebbe spinto l’omicida ad una azione di fuoco impetuosa, impulsiva e a raffica.