Per una musica della Ri(e)sistenza - Le Cronache Spettacolo e Cultura
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Per una musica della Ri(e)sistenza

Per una musica della Ri(e)sistenza

Olga Chieffi

La storia umana continua nel suo sviluppo, imperterrita, la perdita della gioia, la perdita dei primordi, attraverso la guerra. Ma la gioia per converso, in quanto sottratta alla storia, può rivelarsi la cosa più serbata, più intatta e segreta. L’uomo che diviene capace di acquistare gioia, di vestirsi di quest’abito cosmico, diviene capace di origine e per far questo ha da calarsi nella mescolanza delle arti, e sappiamo che la mescolanza è l’essenza della modernità, per ricreare e ricercare una nuova Resistenza, un nuovo prima. Musica e parola in uno scrigno speciale quale è San Giorgio, in un movimento del tempo che, già attenua nel nostro sentimento di quel tempo, le identità compatte dell’io, della persona: una conquista della nostra libertà, per far scomparire ogni separazione, accadranno sconfinamenti tra filosofia, scienza, poesia, musica, profezia, così come le separazioni tra passato, presente e futuro, ritrovando il vincolo, il desmòs, che articola, tenendo unito un tutto senza confini, per apprendere, riflettere, su cose di fuoco che mirano su di noi, ci sfiorano, ci colpiscono, si allontanano. “Senza confini” è, appunto, il tema della quarta edizione di “Grande Musica a San Giorgio” che propone, un nuovo ciclo di sette concerti. Le sorprendenti architetture barocche dell’antica Chiesa di San Giorgio accolgono la programmazione musicale ideata e promossa dall’Associazione Alessandro Scarlatti presieduta da Oreste de Divitiis, e realizzata con il sostegno del MIC e della Regione Campania, in collaborazione con la Fondazione Alfano I e Salerno Sacra e con il patrocinio del Comune di Salerno. “Senza Confini – sottolinea Tommaso Rossi, direttore artistico della Scarlatti – è il titolo che sintetizza le linee guida del nuovo progetto musicale ideato per questo straordinario luogo. Una traccia che invita ad aprire cuore e mente alla musica, nella multiforme ricchezza di segni che ritroviamo nei diversi repertori proposti, spaziando tra musica antica, popolare e classico-romantica”. Per il secondo appuntamento della rassegna, dal titolo Bracciali d’oro, sono impegnate, questa sera alle ore 19,30, Eduarda Iscaro (voce e fisarmonica) e Cristina Vetrone (voce e organetto), che danno vita a un progetto che si avvale della consulenza della etnomusicologa Anita Pesce, che sarà presente con alcuni interventi parlati. Negli anni del folk revival – che coincidono in linea di massima con gli anni ’60 e ’70 del secolo scorso – si attivano recupero e riproposta di musiche e canti tradizionali. Tali recuperi e siffatte riproposte non sono sempre figli di operazioni filologiche: talvolta sono in linea con l’oleografia ‘folkloristica’ cui già l’Ottocento napoletano ci aveva abituati, talaltra sono invece espressione di una “autenticità” insidiosa, visto che a riproporre repertori popolari sono, magari, figli di una borghesia politicizzata che mai avevano espresso il loro autentico disagio cantando un canto di lavoro mentre issavano faticosamente pesce spada su un peschereccio. Se di autenticità si vuol parlare, la si può ritrovare più facilmente nelle voci ruvide e graffianti (e grondanti di disagi personali e disperazioni inespresse) di molte interpreti femminili dell’epoca. Da Rosa Balistreri a Maria Carta, da Giovanna Daffini a Concetta Barra, l’autenticità è nello stile di canto. Nel corso di Bracciali d’oro del Canto dei Filangieri interpretato proprio da Concetta Barra, le due interpreti Eduarda Iscaro e Cristina Vetrone proporranno canti e musiche dell’epoca, quali Oltre il ponte di Italo Calvino/Sergio Liberovici , A la femminisca, Bella ciao, Cu ti lu dissi, la Tarantella del Gargano, No potho reposare di Salvatore Sini/Giuseppe Rachel, Stornello d’estate di Ghigo De Chiara/Ennio Morricone, Lisboa antiga di José Galhardo/Amadeu do Vale-Raul Portela e il Canto dei Filangieri, rielaborato da Roberto De Simone. La poesia di questi canti racconta di “mali antichi”, ancora oggi presenti in altre forme o che potrebbero ritornare: l’arroganza sicura dei potenti e la riverenza timorosa dei “sottomessi”, la subalternità della donna e il senso di supremazia dell’uomo, gli “strappi” provocati delle partenze di lavoro, i divieti sociali imposti alla libertà di amare, il malessere interiore di cui nessuno si accorge, le violenze e le ingiustizie taciute, quei tipi di lavoro che “consumano” il corpo e lo spirito, la paura di un futuro con magre prospettive o il grigio senso di rassegnazione. Questo ed altro fa parte della storia collettiva e dei vissuti individuali raccontati in musica e poesia dai canti tradizionali i quali, tuttavia, sono portatori anche di un ricco patrimonio di “bellezza”: il fascino della melodia, la capacità di improvvisazione, la “libertà” di “rivestire di sé” un canto, la capacità di creare e usare metafore profonde e sorprendenti, l’originalità di melodie uniche, la forza del sentimento “vero” contro ogni divieto “artificioso”, il senso di ribellione alle ingiustizie, l’umorismo con cui affrontare le peripezie della vita. Un amore particolare che abbiamo ritroviamo un po’ in tutti i brani del viaggio che andremo ad intraprendere, tra i diversi e comuni linguaggi del mare nostrum, un fluxus musicale ossessivo e mistico spaziante dall’Africa, all’oriente, a Napoli, dai colori caldi e avvolgenti, specchio del loro e del nostro “contaminato” sentire interiore.