Alberto Cuomo
Sul palco di piazza Maggiore a Bologna, il segretario della Cgil, nel giorno dello sciopero generale, il 28 Novembre, ha sostenuto che “senza rivolta non c’è libertà”. Per tale frase è stato criticato a destra e a manca da quanti hanno ritenuto le sue parole come invito alla violenza. Landini si è difeso affermando che il suo era un appello alla rivolta sociale e che questa “non è mica un richiamo alla violenza ma è la rivolta di ogni singola persona a non girarsi dall’altra parte di fronte alle disuguaglianze”. È abbastanza singolare che un uomo di sinistra, come Landini, esalti la rivolta intesa però non violenta. Il marxismo, che sin qui ha ispirato i movimenti di sinistra e, pertanto, anche Landini, ritiene la rivolta, quella generata spontaneamente dalle masse, la stessa cioè auspicata dal segretario della Cgil, un inutile esercizio della violenza, opponendogli la rivoluzione che è invece un movimento mosso da una organizzazione, il Partito operaio, e rivolto a sovvertire lo Stato borghese per l’inaugurazione di nuovi rapporti sociali e politici. Per dare una qualche dignità alla propria invocazione alla rivolta Landini ha comunicato, ai giornalisti, di aver regalato alla presidente del consiglio, Giorgia Meloni, il libro di Albert Camus “L’uomo in rivolta” in cui, a suo dire, vi è un invito analogo al suo e privo di incitamenti alla violenza. Purtroppo per Landini, Camus non era un sindacalista e la sua posizione aveva un senso filosofico-politico, in contrasto con l’amico Jean Paul Sartre, con cui il libro provocò la rottura. Sartre infatti, è noto, con il Partito comunista francese aveva un rapporto da “compagno di strada”. Come si evince anche dalla letteratura non saggistica di Sartre il suo paradigma era “impegno senza compromissioni” e, in questo senso, il suo giudizio sullo stalinismo era sospeso, ma non aderente alla posizione consensuale dei comunisti francesi. Diversamente Camus, che era stato vicino alle posizioni e al modo d’essere e di pensare sartriano, riteneva necessario ribellarsi contro ogni sclerosi che opprimesse l’uomo. Di qui il suo propendere per la rivolta, invece che per la rivoluzione, dal momento il rivoltarsi quale atteggiamento di vita, quasi imperativo categorico, morale, fa giustizia di qualsivoglia rivoluzione che orienti un possibile regime come era accaduto e stava accadendo in Unione Sovietica. Oltretutto per Camus la “rivolta” non si indirizza verso la definizione di una organizzazione statale e sociale, ma pone di volta in volta valori che si offrono alla condivisione. In Sartre, come in Camus, è possibile scorgere la lettura di Nietzsche ed è del tutto evidente il debito, principalmente verso Camus, da parte dei sessantottini francesi. Che Landini sia un sessantottino in ritardo? Se fosse un politico probabilmente, per quanto discutibile, la sua posizione potrebbe essere accettabile quale estremo atteggiamento di sinistra, ma, in quanto sindacalista essa è del tutto discutibile. Viene cioè da chiedere se, essendo seguace di Camus, ritiene che la politica del Pd sia da lui condivisibile o ritiene invece si debba fondare un nuovo movimento, non partito, analogo a quello dei 5stelle ma più orientato verso il mondo del lavoro? Vale a dire: ritiene forse Landini si debba costruire il socialismo, così come fu per la rivoluzione bolscevica, ma solo attraverso il sindacalismo e rivolte presunte non violente? O invece aderisce al tipo di dialettica politica propria alle democrazie borghesi? Nel primo caso l’idea di costruire un sistema equo attraverso rivolte mosse da lotte sindacali appare essere molto prossima a quella di George Sorel il quale pure riteneva, come sarà per Camus, che la classe operaia non avesse bisogno di guide, di avanguardie, non dovesse essere cioè organizzata e gestita da un partito per essere liberamente rivoluzionaria, ovvero rivoltosa in vista di una trasformazione radicale dei rapporti di classe, assegnando al sindacato il compito di tenere insieme il mondo del lavoro nello sciopero generale. E però, si dà il caso che i testi di Sorel, e particolarmente le “Considerazioni sulla violenza”, fossero alla base della formazione di Mussolini ed ispirarono il movimentismo rivoltoso del primo fascismo e, secondo lo stesso Sorel, anche il fascismo-regime. Che Landini sia fascista? Se invece il segretario della Cgil intende il sindacato quale ingranaggio interno alla dialettica democratica ci sarebbe da dire che, nei paesi democratici occidentali il sindacato non invade i terreni propri alla politica ma agisce solo per rivendicare i diritti dei lavoratori rappresentati. Tali rivendicazioni non sono né rivoluzionarie né rivoltose, non aspirano cioè a creare una nuova organizzazione politica e neppure a formare nei lavoratori un animo ribelle, ma solo a giungere ad una contrattazione rivolta a migliorare le condizioni dei lavoratori. Del resto non appare giusto che le manifestazioni sindacali blocchino le città e ostacolino gli interessi di altri lavoratori non aderenti allo sciopero. Un pensiero malizioso però si affaccia: che Landini voglia emigrare verso la politica, scendere in campo mostrando al Pd i suoi muscoli? Ma che bisogno aveva di scomodare Camus!