Zimbardo, lo psicologo che tolse la maschera ai potenti - Le Cronache Ultimora
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Zimbardo, lo psicologo che tolse la maschera ai potenti

Zimbardo, lo psicologo che tolse la maschera ai potenti

di Barbara Ruggiero

 

In tutto il mondo è conosciuto per un esperimento di psicologia sociale che è rimasto nella storia, lo “Stanford Prison Experiment”. Philip Zimbardo, uno dei più autorevoli psicologi di fama mondiale, professore emerito alla Stanford University, è scomparso qualche giorno fa (il 14 ottobre scorso) all’età di 91 anni. «Si tratta di una persona unica, un amante della vita, un maestro per tutti gli psicologi del mondo; è una grande perdita anche per chi, come me, ha avuto il privilegio di essere suo amico» – ricorda il professore Mauro Cozzolino, docente di Psicologia Clinica e direttore dell’Osservatorio sulla Promozione del Benessere dell’Università di Salerno (di cui nel 2021 Zimbardo era stato nominato presidente onorario). Negli anni, Cozzolino – assieme alla professoressa Giovanna Celia – ha avviato una collaborazione scientifica con Zimbardo che è andata oltre i confini di una semplice conoscenza professionale: «Un rapporto di amicizia sincera – dice Cozzolino – un privilegio di cui andiamo fieri e che ci sprona a continuare lungo la strada da lui tracciata».

 

Professore, tracciamo un ritratto di Philip Zimbardo: come diventa uno dei più importanti psicologi contemporanei?

È riconosciuto in maniera unanime come uno dei più importanti psicologi al mondo. Professore emerito alla Stanford University, aveva insegnato presso Yale e Columbia University. Ha anche ricoperto importanti incarichi istituzionali, come quello di President dell’American Psychological Association (APA) e della Western Psychological Association. Negli ultimi anni, il suo interesse si è focalizzato sulla promozione dell’eroismo quotidiano, fondando l’Heroic Imagination Project, un’organizzazione no-profit che sviluppa programmi volti ad avviare un cambiamento positivo nel percorso di vita delle persone all’interno delle loro comunità e di cui da diversi anni sono referente nazionale. Zimbardo è autore di oltre 500 articoli, capitoli, testi e libri ristampati molte volte e tradotti in molte lingue su argomenti che spaziano dalla persuasione, alla dissonanza, alla prospettiva temporale, alla deindividuazione, all’ipnosi, alle sette e all’obbedienza all’autorità. Zimbardo è stato il primo a studiare in maniera scientifica la timidezza, fondando una prima clinica per i timidi. Ha dato un grande contributo al tema del controllo delle menti (il riferimento è allo studio sul più grande suicidio di massa del 1979), della propaganda e delle fake news che rimandano sempre a dinamiche psicologiche della manipolazione. Comportamenti  devianti legati al contesto
e non solo alle singole personalità.

 

L’esperimento per cui Zimbardo viene solitamente ricordato è quello della cosiddetta prigione di Stanford: un gruppo di giovani inserito in un carcere artificiale all’interno dell’università e i partecipanti divisi tra guardie e prigionieri. Spieghiamo perché è tanto importante nello studio della psicologia?

Questo studio lo ha reso noto non solo nell’ambito ristretto degli psicologi. Si tratta di un forte esperimento che rompe un’idea: quella che i comportamenti aggressivi e devianti che si vedono nelle strutture carcerarie o in ambienti simili siano legati solo ed esclusivamente alla personalità dell’individuo. Con questo esperimento, siamo all’inizio degli anni Settanta, Zimbardo dimostra che pure persone con profili di personalità nella norma potevano manifestare comportamenti al limite dell’umano. Si tratta di uno studio rivelatore perché mette in evidenza l’importanza del contesto nell’evidenziare i comportamenti e, allo stesso tempo, evidenzia anche una natura oscura che è dentro ognuno di noi, il cosiddetto “effetto Lucifero”.

 

I risultati furono inquietanti, tanto da costringere a sospendere lo studio prima del previsto…

L’esperimento fu sospeso, anche su suggerimento di Christina Maslach, sua futura moglie – psicologa conosciuta e apprezzata per la sua definizione della sindrome da burnout – perché i partecipanti, tutti bravi ragazzi, assunsero atteggiamenti al limite dell’umano. L’ipotesi iniziale era che il comportamento deviante e aggressivo impiegasse più tempo a emergere. Non esitò a definire Trump come uomo affetto da disturbo di personalità.

 

Il discorso diviene più attuale con lo scandalo di Abu Ghraib in Iraq, con le violazioni di diritti umani commesse dai militari americani nei primi anni del Duemila.

Dopo lo scandalo, Zimbardo fu chiamato come testimone esperto proprio per spiegare come individui ordinari, i soldati americani coinvolti, potessero essere indotti a compiere atti di violenza e umiliazione. In quell’occasione sostenne che le dinamiche viste in Iraq erano simili a quelle dell’esperimento di Stanford. Fu chiamato come perito a valutare questi soldati. Sia chiaro, non è un tentativo di giustificare certe condotte, ma venne fuori che c’è corresponsabilità in questi comportamenti devianti che spesso colpiscono solo singoli capri espiatori. Insomma, anche a distanza di anni, l’esperimento di Stanford – a cui sono dedicate almeno sette pellicole cinematografiche – toglie la maschera ai poteri. Zimbardo è stato psicologo e ricercatore particolarmente scomodo e critico, anche da queste cose emerge la sua personalità. Tempo fa non esitò a definire Trump come persona affetta da disturbo di personalità.

 

Ma queste teorie in che modo possono tornarci utili nella quotidianità?

Zimbardo non si è solo limitato a svelare la parte oscura; ha provato a interrogarsi: come si possono prevenire questi comportamenti scorretti? Se è vero che c’è un “effetto Lucifero”, quali sono le situazioni che possono renderci migliori? Ecco l’idea di creare percorsi formativi per aiutare le persone a resistere alle pressioni sociali e per consentire loro di esprimere il proprio potenziale positivo. Nasce così uno specifico percorso formativo, l’Heroic Imagination Project che prende forma e trova la sua applicazione anche qui in Italia grazie a una proficua e preziosa collaborazione con l’Università di Salerno. Questo progetto prova a fare l’opposto di quanto accadeva nella prigione: creare contesti sani, pro-sociali, di solidarietà… in cui c’è la possibilità di crescere insieme e di dare il meglio in diverse situazioni.

 

Soffermiamoci sull’aspetto umano: che persona era Philip Zimbardo?

Straordinaria: i genitori erano siciliani e lui teneva sempre a sottolineare le sue origini. A tutti i convegni non mancava mai una slide in cui parlava dell’Italia e della Sicilia. Poi la sua storia umana non è costellata solo di successi; comincia, anzi, con grandi difficoltà: vive nel bronx, i genitori sono analfabeti e lui capisce subito che se non resiste e trova un’alternativa finirà nella devianza, come tutti. Era una persona vivace e particolarmente resiliente, un grande creativo e amante della vita, appassionato di cucina. Pensi che alle sue lezioni all’università andavano anche le persone comuni, era un vero showman. Aveva tantissime passioni: suonava il piano, era grande appassionato di jazz, ha istituito il dipartimento di musica alla Stanford University, era un corridore molto abile…

 

Ci racconta un aneddoto della vostra amicizia?

L’ho conosciuto per motivi professionali nel 2009 e poi il nostro rapporto è diventato sempre più di amicizia. Lo scorso anno siamo stati a San Francisco per una piccola cena in occasione del suo novantesimo compleanno: io, assieme a mia moglie (la professoressa Giovanna Celia, nota psicologa e docente universitaria nda), ero uno dei pochi italiani o europei presenti. Gli regalammo la maglia del Napoli con il suo nome, lui fu molto contento e i suoi familiari ci raccontarono che la indossò anche alle sue conferenze che spesso cominciava facendo ascoltare “Evil” di Santana. Phil ci manca e ci mancherà. Siamo addolorati ma siamo anche contenti del fatto che i suoi 91 anni siano stati spesi benissimo. Zimbardo resta un grande uomo e un patrimonio per la psicologia.

Nella foto Il professor Zimbardo tra la professoressa Giovanna Celia e il professore Mauro Cozzolino