Eboli, una città da cani - Le Cronache Provincia
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Eboli, una città da cani

Eboli, una città da cani

di Peppe Rinaldi

 

Ogni tanto «questo Papa» dice qualcosa di chiaro e lineare. “Bisogna bastonare un po’ l’Italia” – ha detto durante l’udienza generale del mercoledì in Sala Nervi al Vaticano – “si fanno pochi figli e si preferiscono cani e gatti”. Parole sante. Nonostante l’ambiguità strutturale del suo pontificato – l’attuale vescovo di Roma è pur sempre un gesuita – Francesco ha inciso, per la seconda volta, con uno stuzzicadenti d’acciaio la dentatura cariata delle nostre società «sazie e disperate» (cit.), una carie visibile ormai ovunque, in specie là dove ci si ubriaca di buone intenzioni e belle parole, come disvela, tra altro, la proliferazione idolatrica di animali. La giusta esternazione papalina offre il destro all’osservazione delle realtà circostanti, specchio abbastanza fedele della progressiva decadenza del modello occidentale che, piaccia o meno, resta ancora la punta più avanzata di qualsiasi altra esperienza umana: un po’ come la famosa “democrazia peggior modello di governo ad eccezione di tutti gli altri” secondo un certo Winston Churchill. Eboli è un caso tra i tanti. Qui ci occuperemo dei soli cani.

Allora: secondo i dati del Servizio veterinario dell’Asl di Salerno, nel comune sono registrati 2.400 cani (al 2023), il che significa che ce ne sono, verosimilmente, molti di più considerando che tanti non li «microchippano». I randagi, per i quali pure ci sarebbe da dire per la mole di risorse pubbliche sciupate in un business che allevia l’inquietudine esistenziale di animalisti e non, sono fuori dal nostro discorso. Ma vediamo come stanno le cose in città. Per farlo bisogna concentrarsi sui numeri, seppur grossolanamente considerati, della popolazione residente con relativa curva ascendente e/o discendente.

 

  • Il calo della popolazione

 

Nel 2016 Eboli conta in tutto 40.100 abitanti ma a fine 2022 sono già scesi a 37.500, registrando una diminuzione di circa 2.600 unità, un calo dovuto sia a fisiologici spostamenti e/o emigrazioni, sia alla caduta verticale delle nascite, punto cruciale di tutto. Le falle, come accade un po’ ovunque, sono colmate dagli stranieri, il che non è un bene in sé, un arricchimento a prescindere, al di là delle diffuse stupidaggini su meticciato e inclusione, sulla bellezza della società «multiculti» o sull’accoglienza dogmatica che fa di chiunque abbia minime perplessità un becero xenofobo razzista o roba del genere. Con i cani accade di peggio, guai a far domande, la permalosità del «settore» supera forse quella della nota lobby che non vuole che si dica che è una lobby.

Dunque: i cittadini stranieri, composti per due terzi da marocchini e rumeni – imminente una nuova ondata di africani in senso classico – a fine 2022 erano circa 4.800, di cui circa 3.000 maschi. Le donne coniugate, comprese le straniere, ed in età fertile, cioè nella fascia 16-40 anni, nel 2023 erano in tutto meno di 1.100. Le nascite da diverso tempo sono attorno alle 300 all’anno e di queste circa il 20 per cento è merito degli stranieri. E’ evidente, quindi, che le donne non italiane fanno più figli, basterebbe peraltro alzare lo sguardo dallo smartphone per notare che le «nostre» donne, moltissime quelle in età fertile, gironzolano concitate e affaccendate al servizio di uno o più cani, spesso isterici e nevrotici proprio per il trattamento «umano» loro riservato; le straniere, al contrario, sono circondate da almeno due o tre bambini, carrozzine, passeggini e biberon in una esplosione vitale che la dice lunga.

Le famiglie ebolitane in base ai dati Istat sono circa 15.000, quindi, in una famiglia ogni sei c’è un cane. Chiunque sappia far di conto capirà che il numero dei cani è superiore al totale del numero dei bambini tra 0 e 6 anni. Una tragedia. C’è poi tutto il tema delle famiglie formate da una sola persona che, con il cane, fanno due unità, ma non scendiamo troppo nel dettaglio, non dobbiamo scrivere per una rivista specializzata, anche se non si può non considerare che la tendenza negli ultimi 20 anni è stata quella delle famiglie formate mediamente da tre persone, mentre adesso si sta avvicinando il modello «a due», in futuro «a una» e poi il nulla. Doppia tragedia. Il guaio è che sono in pochi, tra quanti hanno in mano i destini delle genti, a non recitare la giaculatoria che da tempo viene cantata dal sistema mediatico-culturale: non c’è lavoro, i cervelli devono per forza emigrare, non ci sono case, il lavoro femminile di qua, la parità di genere di là, non ci sono le condizioni per procreare, dobbiamo salvare il pianeta, non abbiamo garanzie e via piagnucolando. Se l’umanità avesse ragionato così, cioè pretendendo “garanzie” prima di agire, si sarebbe estinta da molto tempo.

 

 

  • Civiltà apparente

 

In apparenza, il dato dei 2.400 cani di Eboli direbbe che siamo in una comunità «animal friendly», cioè amica degli animali, una società sviluppata e giusta, aperta e moderna, dove c’è posto per tutti, dove ci si preoccupa di tutti, finanche degli animali, in particolare dei cani (e dei gatti): compriamo loro cibi costosi, li vestiamo come bambini, festeggiamo con sprezzo del ridicolo i compleanni (a quando gli onomastici?), facciamo loro perfino i funerali o li mandiamo nelle spa se ne abbiamo la possibilità. Certo, il cretino che dice “meglio le bestie degli uomini” lo trovi sempre, il tema è però la conseguenza di questa mentalità fattasi ormai cultura e struttura. Non è necessario scomodare studi sociologici e demografici che da anni lanciano – inascoltati – l’allarme su una mentalità generale inchiodata al proprio ombelico, basterebbe recuperare un po’ di spirito d’osservazione e senso della realtà per capire che, in verità, più cani (e animali domestici in generale) ci sono tra di noi e meno bene sta la società e chi la compone. Sembra un paradosso ma così appare ogni giorno di più. Si confonde spesso la vicenda personale del singolo e del suo rapporto con l’animale con i destini di una popolazione con relativi epifenomeni. Naturalmente, i cani non ci sottraggano chissà quanto o cosa ma il loro numero, oggettivamente smisurato, rappresenta l’indice del deserto che progressivamente abbiamo realizzato fuori e dentro le nostre vite, a partire dagli ultimi cinque o sei decenni: guarda caso, in concomitanza con l’esplosione e la diffusione capillare delle «conquiste civili» che, non solo non ci hanno fatto conquistare una beneamata mazza, ma hanno assestato il vero, subdolo e mortale colpo alla salute individuale e collettiva. Al netto di tutto il resto, se al posto dei figli metti i cani (o i gatti) e se questi li tratti come figli, tenuto conto che la natura non tollera vuoti, il minimo che possa accadere nel giro di una generazione o due si potrà chiamare in un solo modo: estinzione. E pure qui il cretino che dice «magari» lo trovi sempre.