di Gerardo Spira
“A Salerno certi processi non si facevano proprio, la musica deve cambiare”. Così Giuseppe Borrelli, procuratore capo di Salerno in un’intervista a Le Cronache. L’intervista mi ha riportato alla mente un’altra intervista del 2021, in cui l’alto magistrato tuonava “I clan invadono il Cilento. Alla Dda nessun rapporto”. Eppure sono questi gli anni – e anche prima – in cui sono stati acquisiti montagne di carte negli uffici pubblici, in studi professionali e domicili. Sono anni che il Cilento è sottoposto ad inchieste e ricerche di documenti su presunti reati, anche di una certa gravità. Si parla da anni di criminalità organizzata e di infiltrazioni nella vita pubblica, di un territorio esposto alle aggressioni del malaffare, di sequestri, usura e confische. I personaggi però sono sempre al loro posto, perfettamente attivi e operosi nel mondo economico e finanziario. Sono voci destituite di fondamento o effettivamente sul tavolo della magistratura non sono pervenuti rapporti come ha gridato Giuseppe Borrelli? Dove sono finiti i tanti documenti acquisiti dalle forze dell’ordine che pure sostengono, insistendo, di aver depositato? Le dichiarazioni di Borrelli non lasciano tranquilla una comunità impegnata a produrre e promuovere iniziative e programmi di lavoro e di investimenti in un territorio accerchiato dalla tela di una politica orientata nella direzione in cui sono presenti solo certi affari, certi personaggi circondati dai soliti nomi che hanno nelle mani il destino e il futuro del territorio cilentano. E i cittadini onesti che ascoltano e vedono restano in fiduciosa attesa di risultati tranquillizzanti, anche se il tempo corre con lentezza. È la gravità e complessità dei fatti che richiede tempo, soprattutto per il rispetto del famoso principio delle garanzie legali, anche se i fatti riguardano sempre gli stessi soggetti e aggregati. La Giustizia va rispettata, in educata attesa, fino all’ultima goccia del bicchiere. Anche se durante questa attesa accadono fatti che travolgono apertamente soldi pubblici.
ILLECITO PENALE E AMMINISTRATIVO
Qui torna il nodo che mi ha fatto sobbalzare dopo aver letto la dichiarazione del Procuratore Borrelli. Nell’intervista rilasciata a Peppe Rinaldi, il Procuratore di Salerno, a proposito dell’abuso di Ufficio dice: “Premesso, ancora, che non è vero che l’abuso d’ufficio sia una condotta sanzionabile sul piano amministrativo, in quanto anche lì c’è il principio della tipicità da rispettare, non è stata ancora introdotta nell’ordinamento alcuna sanzione amministrativa correlata all’abuso di ufficio”. Qui risento il suono della vessata questione sulla differenza tra illecito penale e illegittimità amministrativa, questione che ha portato in passato nel porto franco abusi vistosi di fatti e vicende che hanno coinvolto l’art. 323 c.p. Tra la fumosità della previsione penale è caduto in prescrizione un mondo di fatti che riguardavano interessi personali, favori e vantaggi sistemati con deliberazioni ricamate all’ombra del 323 c.p. Dopo il 1990, con la legge 241/90, il discorso amministrativo è radicalmente cambiato, in quanto il legislatore ha introdotto nel nostro ordinamento il principio d’obbligo del procedimento amministrativo, l’obbligo di seguire nella composizione degli atti il ragionamento logico-giuridico. Se infatti si esaminano bene documenti e provvedimenti secondo il nuovo dettato amministrativo si trova il filo e il buco, e il buco porta ad una valutazione non più di natura amministrativa ma penale e contabile. Se il procedimento amministrativo non risulta coerente con la legge, vuol dire che gli atti sono stati approntati per favorire e danneggiare. E non mi pare che in tal caso si possa parlare di sanzione amministrativa. Quando parliamo di soldi pubblici, l’occhio della legge di verifica e di controllo va fissato proprio sugli artt. 54 e 97 della Costituzione.
Viviamo di certo un momento di grande confusione istituzionale. I poteri dello Stato hanno sconfinato competenze e attribuzioni stabilite nella Carta costituzionale, con le conseguenze che quotidianamente leggiamo nei fatti e negli eventi evidenziati da stampa, TV e inchieste. Tutto ruota intorno alla vita pubblica perché in questa è concentrato il potere delle autorizzazioni e dei permessi, il potere che muove e regola il mondo dell’economia e della finanza.
IL FAVORE DELLA CONFUSIONE
In questa confusione si svolgono fatti che riguardano la vita dei cittadini e si costruiscono processi di sviluppo in tutti i campi e settori. In questo clima la violazione delle leggi pubbliche scorre in tutti gli apparati delle Stato e delle sue derivazioni, fino agli enti di piccole dimensioni e delle società partecipate divenute il braccio operativo di gestione di beni e servizi. Ciò avviene in presenza di organi, funzioni, autorità e rappresentanti tutti deputati a vigilare, a controllare e impedire che i soldi pubblici, patrimonio di tutti, si trasformino in una cosa di pochi, di soli affiliati. Assistiamo, purtroppo, ad una situazione in cui lo Stato non ha più la capacità di intervenire e chi deve farlo risulta vincolato, per ovvie ragioni, a condizioni in cui i poteri pubblici appaiono ingessati o impossibilitati a risolvere contrasti e disfunzioni della vita pubblica. Effettivamente è così, oppure gli ambiti dei poteri si sono allargati fino a intrecciarsi e confondersi in una sorta di abbraccio condiviso?
Una vita trascorsa nella pubblica amministrazione, tra carte, provvedimenti e decisioni, almeno per quanto mi riguarda, non mi consente di adattarmi al cosiddetto “nuovo” che si cerca di imporre ad ogni costo. Non lo condivido, anzi mi rifiuto di accettarlo come normale processo del cambiamento culturale. La vita pubblica va interpretata e svolta tra leggi, regole e ragionamenti pubblici. I reati contro la P.A. perseguibili anche per il danno erariale, a mio avviso, esistono e devono restare l’argine invalicabile in qualsiasi aspetto della vita di relazione di tutte le istituzioni dello Stato, a tutti i livelli e in ogni angolo del Paese. Principio, questo, che non va ammantato di colore politico. I soldi pubblici non hanno colore politico, sono sacri e vanno considerati e trattati per identico valore, uso e consumo, uguale per tutti, con lo stesso significato della scritta che troviamo nei tribunali. Mi preoccupa la spavalderia amministrativa del facile impiego del danaro pubblico e mi tormentano considerazioni e comportamenti che ne sviliscono la importanza, affidandone la responsabilità d’uso e dell’impegno a funzioni aggregate a maggioranze politiche, sottoposte alla forza autoritaria del politico di turno. La politica ha il riferimento d’identità nei programmi di gruppo o di parte, la funzione pubblica ha un solo riferimento: la legge. Due principi mi hanno sempre accompagnato durante la funzione pubblica sin dal 1970: quelli ben fissati negli artt. 54 e 97 della Costituzione. Entrambi, a mio avviso, cogenti da applicare, coordinati e combinati che segnano la via chiara da seguire nella vita pubblica: “Tutti i cittadini hanno il dovere di essere fedeli alla repubblica e di osservarne la Costituzione e le leggi; “I cittadini cui sono affidate le funzioni pubbliche hanno il dovere di adempierle con disciplina ed onore, prestando giuramento nei casi stabiliti dalla legge” (art. 54 c1,2) – “I pubblici uffici sono organizzati secondo disposizioni di legge, in modo che siano assicurati il buon andamento e l’imparzialità dell’amministrazione”. (art. 97) –
QUANDO LA MATERIA SI FA PENALE
Tutto ciò che accade in violazione di questi principi è fuori dalla legge e dalla Costituzione. Con la riforma del 1990 la politica è stata separata dalla gestione e i rispettivi organi sono stati recintati in precisi ambiti di competenze e funzioni. Le attività della P.A, non hanno più margini di discrezionalità, ma sono state ancorate al principio della logica giuridica del procedimento amministrativo. Gli atti vanno impostati e proposti con i richiami normativi e regolamentari per gli effetti di validità legittima. L’attività politica è soggetta al controllo preventivo e successivo dei pareri di conformità tecnica e finanziaria della funzione pubblica, professionalmente selezionata, non scelta (ad hoc). Ruolo speciale rivestono i revisori contabili che non devono limitare la loro funzione al semplice controllo dei numeri ma soprattutto a quello di verifica della legittimità degli atti adottati dai funzionari. La Corte dei conti spesso richiama gli organi di revisione sull’importanza dell’art. 239 Tuel 267/ 2000. Il procedimento amministrativo è un pentagramma sul quale sono scritte note di una musica ben accordata. Se l’accordo non avviene secondo lo schema previsto dalla legge, un attento orecchio ne avverte subito la “stonatura”. La magistratura penale e contabile è chiamata a controllare questa fase in cui si mette in esecuzione la volontà politica, la fase in cui la proposta va istruita e valutata ai fini della legalità.
IL NODO DEL PROCURATORE
Qui è il nodo del Procuratore Borrelli, qui si mette in piedi la scala del percorso. Qui nasce il cuore dell’azione amministrativa. Qui si intrecciano volontà politica e fase della gestione legale di un atto. Qui operano dirigenti e funzionari nominati dal sindaco con suo provvedimento “di fiducia”, raramente selezionati con criteri regolamentati. Nel procedimento amministrativo si annidano vizi e violazioni più o meno consistenti, per valore di tenuità di poca cosa se poca cosa si decide. Non è poca cosa l’affidamento di incarichi, di appalti, di autorizzazioni e di concessioni per milioni di euro. Non è percorso logico giuridico l’affidamento di beni e servizi sempre agli stessi gruppi, associazioni e società. Non mi pare che le selezioni pubbliche di concorsi e di incarichi siano in linea con il principio dell’art. 97 cost. (buon andamento e imparzialità) quando i selezionati siano solo o quasi sempre persone legate da rapporti di parentela diretta o indiretta con Amministratori della stessa condivisione politica, unita o tale inventata. Il danaro pubblico non porta il marchio di zecca politico personale. Ancora la Costituzione non è stata sostituita con altra in cui è stabilito che una maggioranza eletta può fare e cambiare tutto senza dover dare conto pubblico. Il percorso del procedimento amministrativo, se violato nei principi di cui agli artt. 54 e 97 Costituzione non comporta sanzioni di natura amministrativa, ma penale e contabile.