Iervolino, Pasolini e gli algoritmi - Le Cronache Salernitana
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Iervolino, Pasolini e gli algoritmi

Iervolino, Pasolini e gli algoritmi

di Alberto Cuomo

Pier Paolo Pasolini nell’intervista rilasciata al “Guerin sportivo” poco prima della sua tragica morte, affermava che “gli sportivi sono poco colti e gli uomini colti sono poco sportivi”. A seguire Pasolini, pertanto, i cosiddetti “colti” che mai hanno praticato, anche da spettatori, uno sport dovrebbero, in generale, astenersi dal parlarne tanto più quando sono presunti colti tali da sommare due presunzioni, quella della cultura e quella che emerge dalla pretesa di scrivere di una materia che non conoscono. Lo scrittore ”corsaro” diceva in proposito di essere un’eccezione, dal momento aveva frequentato, oltre i libri, lo sport, il calcio, di cui amava scrivere. Ed anzi il calcio era per Pasolini la cartina di tornasole attraverso cui misurare i mutamenti sociali. Non a caso le sue prime critiche alla società di massa, figlia del boom economico, sono contemporanee a quelle che rivolgeva al calcio di cui leggeva, già negli anni sessanta, il trasformarsi da passione autentica in pretesto per un ricco affarismo. Come è noto Pasolini amava praticare il calcio nei campetti di periferia, anche se, spesso, ha indossato maglie societarie e scarpette con tacchetti. Da giovane giocava ad ala sinistra militando nel Casarsa, una squadra iscritta alle serie minori, e in seguito, divenuto noto, amava essere tra gli organizzatori dei tornei di beneficenza con personaggi popolari, attori e cantanti o scrittori e giornalisti etc. Il suo ruolo di calciatore era, anche negli incontri benefici, sempre in attacco, a sinistra, sebbene non disdegnasse giocare a destra, mostrando, secondo quanto ricorda Fabio Capello che gli fu amico, resistenza, scatto e un buon “doppio passo” utile a dribblare l’avversario. La sua passione verso il calcio era tale da approfittare di ogni occasione per dare tiri al pallone anche in campi improvvisati. Del resto lo sport, nel nome, deriva da ex porta, cioè fuori porta e il calcio si giocava nell’antica Roma in campi sterrati fuori dalla cinta muraria. Era l’harpastum un gioco con una palla che vedeva due squadre, composte da nove-trenta giocatori, in ragione della grandezza del campo, le quali in un rettangolo segnato a terra, con due linee di fondo, dovevano far giungere la sfera, muovendola con le mani o con i piedi, oltre la linea avversaria. Lo stesso gioco che veniva praticato già in Grecia, denominato episkuros. La duplice passione per il calcio e la scrittura indusse, nel 1971, Pasolini ad assimilare il gioco al linguaggio, tentando una possibile grammatologia, con i fonemi, le unità linguistche, sostituite dai podemi, i singoli calciatori, e le parole calcistiche formate dalle infinite relazioni tra essi. Di qui anche la classificazione tra calcio prosastico, quello europeo, fondato sul gioco collettivo, e calcio poetico, quello sudamericano retto dalla creatività del singolo. Oggi il calcio è molto mutato, anche rispetto a quello criticato da Pasolini. Le società proprietarie delle squadre sono sovente anonimi fondi finanziari ed i calciatori sono solo relativamente appartenenti alle società essendo manovrati da procuratori sulla scacchiera delle federazioni nazionali e internazionali. Si pensi al caso Dia, della Salernitana, sfuggente alla gestione del patron Iervolino, del direttore sportivo e dell’allenatore. C’è da dire che i calciatori hanno vita breve, nel senso che, pur continuando a giocare per oltre un decennio, possiedono smalto per un tempo limitato. Un tempo giocare al calcio era poco più di un hobby. Per rimanere nell’esempio della Salernitana qualcuno ricorderà Romoletto Mazzone il quale, molto bravo nel dribbling, correva poco e, durante gli allenamenti al Vestuti, si fermava talvolta sulla linea laterale per fumare una Camel. Oggi per un calciatore è impossibile fumare e gli sforzi che compie mettono a dura prova il suo fisico. Se si guarda ai metri percorsi da ciascuno di essi in una partita si scopre che mediamente, qualunque sia il ruolo, ognuno corre intorno ai 10mila metri. Chiunque conosce un po’ lo sport sa che correre con il tira-molla, ovvero con strappi veloci, come è nel calcio, ci si affatica molto di più che in una gara di fondo dove si ha lo stesso ritmo sia pure sostenuto. Di qui lo sforzo non solo polmonare e muscolare ma di tutti gli organi, cuore, fegato, reni, che in qualche caso può portare anche alla morte. La simpatia che i tifosi di Salerno hanno tributato a Iervolino nasceva probabilmente dal fatto che, a differenza di quanto accade in altre squadre, il nostro presidente non era il rappresentante di una sigla societaria. Purtroppo per sfuggire alle leggi dei procuratori Iervolino si è affidato, nella scelta dei calciatori, invece che all’allenatore, Sousa, ad un algoritmo, seguendo un modo di fare del football e del basket Usa. Diversamente dagli sport americani, però, il calcio, come ha mostrato Pasolini, possiede, analogamente a un linguaggio, infinite variabili e combinazioni, laddove nel basket è più facile individuare un giocatore da tre punti a tiro o nel football americano un runner da primato nella velocità. Vale a dire che gli sport americani si adeguano alla macchina e alla matematica perché le squadre stesse sono macchine con pochi ingranaggi, ovvero lingue elementari con poche combinazioni. Il calcio invece possiede un’anima, ovvero, con le sue molte varianti, si addice all’anima, alle sue infinite sfumature. Sarà per questo che la Salernitana sta per retrocedere, dal momento, tra algoritmi e dirigenti svagati, la squadra non ha avuto un’anima.