L’ultima azienda, in ordine di tempo, ad issare bandiera bianca è stata la Pennitalia. 150 dipendenti in Cassa integrazione per cessazione attività, l’ultimo rantolo di un’area industriale sempre più svuotata del proprio contenuto originario dove le attività manifatturiere si contano sulle dita d’una mano. C’era una volta l’area industriale di Salerno: oggi chi percorre le dissestate vie che si diramano dal boulevard principale si trovano di fronte qualche cantiere nautico, molti discount e i soliti centri commerciali.
Etheco, Ideal Standard, Mcm (oggi MedSolar, ndr), Landis e Gyr, Ilvaform. Industrie che davano lavoro assicurando un futuro a centinaia, migliaia di famiglie salernitane oggi cedono il passo ad outlet, maxistore, ipermercati. Le aree, molte dismesse, vengono periodicamente ripulite ma le tante cattedrali nel deserto fanno assumere all’area industriale lo spettrale aspetto delle città abbandonate del far west americano, pronte ad essere “aggredite” da qualche goloso speculatore in cerca di nuovi territori da conquistare.
Arzano: Un’area svuotata
«L’area industriale – denuncia Guido Arzano, presidente della Camera di Commercio di Salerno – è dal 1998 che non è più tale, è un’area commerciale. Questo svuotamento progressivo rischia di trasformarla in un terreno fertile per aggressioni speculative di qualsiasi genere. Abbiamo pensato troppo ad investire sulle reti distributive, sul commercio e sul terziario. Il risultato è sotto gli occhi di tutti, purtroppo. Oggi ci ritroviamo con un tessuto industriale, ed in particolare il manifatturiero, assolutamente inaridito. Lo scorrere dei titoli di coda per la Pennitalia, se vogliamo soffermarci all’ultimo episodio, rappresenta il tramonto del sogno di area industriale, quell’idea che tutti noi avevamo per l’area che abbiamo frettolosamente convertito in commerciale».
Buono: Problema sociale
I numeri sono allarmanti: i dati della Camera di Commercio sul crollo del manifatturiero coincidono, drammaticamente, con i numeri relativi agli ammortizzatori sociali destinati a chi rischia di rimanere senza lavoro.
«Il tessuto industriale della nostra città e della provincia è a pezzi ed è in forte decrescita – commenta il segretario della Cisl Matteo Buono – anche perché la crisi finanziaria si somma alle crisi preesistenti. L’andamento occupazionale è ai minimi storici per il ricorso massiccio alla Cassa integrazione ordinaria e straordinaria, ai contratti di solidarietà, e alla Cassa in deroga. Il problema sociale potrebbe amplificarsi ulteriormente con la carenza di risorse e di coperture finanziarie, andandosi esaurendo il diritto all’accesso agli ammortizzatori».
Persico: Errore di partenza
Per quasi tutte le grandi industrie salernitane il percorso ha visto tappe obbligate. Dopo il boom il periodo di crisi, il tentativo di riconversione, quindi l’abbandono.
«E’ un tema generale – chiarisce Pasquale Persico, docente di Economia e Politiche per le Imprese all’Università di Salerno – che riguarda nel complesso il sistema Italia: c’è un cortocircuito negli investimenti nel manifatturiero. Al sud, e quindi anche a Salerno, questo tipo di gap è acuito dal miraggio degli incentivi. Le industrie, negli anni del boom, hanno aperto e si sono fatte largo perché incentivate: appena cadute le convenienze abbiamo registrato la crisi e la fuga».
Le soluzioni, per Persico, prendono la via del coraggio e dell’innovazione.
«Dobbiamo avere la voglia, come hanno fatto altre regioni – spiega – di riposizionarci, ripensare l’industria puntando sull’agroalimentare e sulle tecnologie di Ict. Il vero tema forte è favorire quegli insediamenti che io chiamo di terziario-manifatturiero. Iniziative legate alla finanza che possano creare valore sul territorio. Penso all’innovazione, all’ambiente, ai settori di rigenerazione urbana».
Crisi su un piano inclinato
IlvaForm, Gama, Amato, Pennitalia. L’elenco è lunghissimo: dalla Camera di Commercio si leva un grido d’allarme che lascia poco spazio alla serenità.
«La triste sensazione – spiega Guido Arzano – è che Salerno purtroppo non abbia ancora completato quello che potremmo definire un iter di svuotamento industriale. Il percorso riguarda Salerno città ma anche la provincia. C’è la speranza che questa sorta di selezione darwiniana sia terminata ma le premesse non sono positive. La chiusura delle industrie si tramuta in posti di lavoro persi. E quando c’è disoccupazione, quando cresce la miseria non possiamo più lamentarci per la scarsa sicurezza: la povertà e l’indigenza alimentano il malaffare, la criminalità. A tutti i lavoratori, soprattutto quelli di mezza età, difficilmente reinseribili, va la mia solidarietà personale e dell’Ente camerale, in un momento difficilissimo figlio, senza mezzi termini, di scelte sbagliate sul piano politico per questo territorio. Non si è mai deciso in termini chiari ed inequivocabili».
«La crisi colpisce Salerno e tutta la provincia – aggiunge Matteo Buono – e i risultati sono drammatici, specie nella zona a sud di Salerno. L’Alcatel di Battipaglia, nonostante il rientro graduale dei lavoratori dalla Cigo, registra incertezze per l’immediato futuro. C’è l’Ilva Form Salerno, che segue gli andamenti e le ripercussioni dell’Ilva di Taranto e vede i propri dipendenti in Cigo. E non ci dimentichiamo di aziende come la Gama Ox di Salerno, la Vepral di Nocera, la Profilati Italia di Buccino, la Rem di Fisciano che destano forti preoccupazioni per il mantenimento delle attività produttive e dei conseguenti livelli occupazionali».
27 marzo 2013