Di Olga Chieffi
Sarà il violinista Giuseppe Gibboni, premio Paganini 2021, ad essere insignito, sabato sera, alle ore 21, nella chiesa di Sant’Antonio in Capaccio del Premio Phoebus, istituito dall’amministrazione comunale e dal suo Sindaco Franco Alfieri, unitamente all’associazione Umlaut – La Tua Musa con il Presidente Domenico Tanza e Dario Marandino, direttore artistico, primo tassello verso una Paestum Città della Musica, che continuerà il suo corso, attraverso l’organizzazione di “Masterclass di alto perfezionamento musicale”, in programma per la prossima primavera, affidate a docenti di levatura internazionale e giovani musicisti provenienti da tutto il mondo.
Non si poteva scegliere ambasciatore migliore quale il violino di Giuseppe Gibboni, apollineo per appartenenza, ma nulla di più dionisiaco e incantatorio per il suo suono assoluto, che potremo ascoltare in un rècital che lo vedrà attraversare la letteratura dedicata a questo strumento da Johann Sebastian Bach a Šnitke. Se una musica riesce a innalzare tutto il nostro essere verso ciò che è nobile essa avrà pienamente raggiunto il suo scopo, e quando un compositore arriverà a questo avrà toccato la vetta più alta. Bach questa vetta l’ha raggiunta”. Così scrisse Paul Hindemith, compositore del XX secolo. L’elemento cardine della sua arte compositiva è il contrappunto, sviluppato nel tardo Medioevo e Rinascimento, che in lui trovò la massima espressione e realizzazione. Tale tecnica, che deriva il suo nome da punctum contra punctum (nota contro nota), può essere molto sinteticamente definita come il sovrapporre due o più linee melodiche. La Fuga dalla I Sonata è fra i più grandi esempi di arte compositiva di Bach, del suo trattare gli strumenti in modo talmente sapiente da portarli ad esprimere al massimo le loro potenzialità espressive. La I Sonata consta, oltre che della Fuga dalla struttura tipica delle varie voci che entrano a intervalli regolari per poi intrecciarsi passando dai registri alti a quelli bassi degli accordi e viceversa, di altri tre movimenti ed il tutto è articolato in alternanza di tempi lenti e più mossi.
Si passerà, quindi al Niccolò Paganini dei 24 Capricci op.1 composti intorno al 1800 a Genova, di ritorno da un giro concertistico compiuto in Toscana e dedicati “agli artisti”, cioè ai violinisti di classe superiore e non agli “amatori”, considerati – con questa qualifica di musicista – semplici dilettanti. Ci son dei numeri tra queste pagine che sono un po’ il marchio dell’intera famiglia Gibboni che oltre a Giuseppe vanta altri tre splendidi violinisti a partire da papà Daniele e le gemelle Annastella e Donatella, oltre alla madre Gerardina Letteriello pianista. Un vortice, un moto irrefrenabile di ampi arpeggi con l’archetto a rimbalzo e sequenze ben sgranate di note doppie. Così, con scatto felino di virtuosismo musicalissimo, il Capriccio n. 1 entra nel mezzo del discorso e traduce la febbre del discorso compositivo, si passerà, al n. 5 che apre con una funambolica cadenza: impressionanti scalate in arpeggi sino a non potere salire oltre con la mano sinistra, ripide discese su scale, uno svolazzo cromatico in su e in giù. Il tutto dimostra la formidabile se non patologica flessibilità dell’iperabile mano di Paganini che al compositore e critico Castil-Blaze suggerisce l’immagine di «un fazzoletto legato in cima ad una canna» che sventola da tutte le parti: Al centro c’è ancora un perpetuum mobile, Agitato secondo un proibitivo colpo d’arco.
Giuseppe proseguirà, con il Capriccio n.13, un Allegro in si bemolle maggiore, soprannominato “La risata del diavolo”, che inizia con una scala simile a passaggi a doppia corda a velocità moderata. La seconda parte consiste in corse ad alta velocità che esercitano la flessibilità della mano sinistra e il cambio di posizione, e il cambio di corda ad alta velocità della mano destra e il destreggiarsi con lo staccato, ancora il n°15, in cui viene variata un’enigmatica melodia in ottave (Posato) prima d’una parte in accordi dai “picchettati” fulminei. A seguire, il ventunesimo, Amoroso, Presto in la maggiore, un vero e proprio duetto d’opera tradotto strumentalmente col contrasto improvviso d’un intermezzo tutto scale e “picchettati” e per ultimare il portrait paganiniano il celeberrimo XXIV capriccio, un tema con Variazioni, quasi presto in la minore, in cui il violinista getterà sul tavolo il ventaglio di tutte le tecniche come scale e arpeggi tremendamente veloci, doppie e triple corde, pizzicato, ottave e decime parallele, raggiungendo la vetta del virtuosismo violinistico.
Si passerà, quindi al Novecento di Eugène Ysaye, con la sua sonata n.6 in mi maggiore op.27, dedicata a “Manuel Quiroga”, dal sottile sapore spagnoleggiante, latrice di una scrittura molto impegnativa, con scivolii armonici offerti dai quarti di tono e ricerche timbriche, e all’impiego degli esaltanti ritmi iberici,
Gran finale con la dedica di Alfred Šnitke “A Paganini”, pagina datata 1982, in cui l’autore tratteggia un’immagine oscura e trascendentale del virtuoso genovese, punteggiando una scrittura ipnotica e traslucida di fuggevoli frammenti di composizioni paganiniane che spiccano a tratti in un continuum sonoro allucinato e fluttuante. Nell’ottica dell’estroverso polistilismo dell’autore, le citazioni letterali di pagine di Paganini sono inserite in un collage multiforme che rispecchia la visione della contemporaneità musicale dell’autore russo e, in un’accezione più ampia, arrivano a rappresentare varchi di luce, momenti di gioia e spensieratezza che, iconici e volitivi, emergono da una frenetica rappresentazione sonora dell’angoscia moderna.