Montevergine, ora gentile dottoressa Bonaudo: per favore, ripristini la verità - Le Cronache
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Montevergine, ora gentile dottoressa Bonaudo: per favore, ripristini la verità

Montevergine, ora gentile dottoressa Bonaudo: per favore, ripristini la verità

di Alfonso Malangone*
“La Casa di Dio è divenuta la Casa di Er Monnezza”. Fu la dichiarazione di sconforto pronunciata dallo storico Massimo La Rocca, nel 2015, con riferimento alle condizioni della Chiesa e del Convento di Santa Maria Maddalena nella parte alta del Centro Storico, lungo Salita Montevergine (fonte: CorriereMezzogiorno). La triste storia di quelle ‘memorie’ merita di essere raccontata, soprattutto a beneficio di chi dovesse ritenerle ‘vecchie pietre’ destinate alla rovina, magari da sostituire con edifici della ‘modernità’.
Va premesso che Chiesa e Convento sono tuttora presenti nel Catalogo Generale dei Beni Culturali consultabile sul sito del MIC-Ministero della Cultura. Le note a corredo ne fanno risalire le origini, rispettivamente, al 957 e al 1040 anche se, dopo una citazione in atti del 1094, la prima descrizione ufficiale risale ad una bolla di Papa Alessandro IV del 1255. Il Convento venne definito ‘fuori le mura’ perché la facciata, lungo la Salita Montevergine, sfruttava la parete della cinta muraria edificata dai Longobardi a difesa della Città, dal Castello fino al mare. Nel 1589, il complesso passò ai padri della Congregazione di Montevergine che, già dai primi anni del Milleduecento, erano insediati nella piana detta ‘del Carmine’ dedicandosi alle cure dei bisognosi. Così, la denominazione di “Santa Maria Maddalena” venne modificata in “Santa Maria di Monte Vergine, o della Maddalena”. Di seguito, nel 1716, nel Convento venne istituito il “Conservatorio delle Pentite” per ospitare, cioè ‘conservare’, le orfanelle e le donne convertite dai cattivi costumi. Per questa sua funzione, nel 1874, venne posto sotto l’autorità dell’Arcivescovo e, nel 1900, affidato alle Suore della “Congregazione Figlie di Sant’Anna”.
Riconosciuto “Istituzione di Pubblica Assistenza e Beneficenza-IPAB”, nel 1972 la tutela e la vigilanza furono trasferite alla Regione Campania. Va aggiunto che, dai primi anni ’70, in alcuni locali trovò sede l’associazione “Casa Betania”, diretta dal frate francescano Antonio Tomay, dedita alla cura delle donne sole e delle ragazze-madri. Qui, finisce la Storia con la ‘S’ maiuscola.
Il 13 maggio 2006, l’Arcivescovo Pierro decise la chiusura del Conservatorio, addirittura con dichiarazione notarile, disponendo il trasferimento di tutti i beni al patrimonio dell’Archidiocesi e la cessazione di ogni attività. Ovviamente, fu intimato anche lo sfratto a padre Tomay. Però, a causa di alcune contestazioni tra Curia e Regione, il decreto finale dell’Amministrazione fu emesso solo nel 2013 (fonte: Positanonews). In verità, fin dal 1997, cioè ben sedici anni prima, lo stesso Arcivescovo aveva conferito ad una Agenzia Immobiliare cittadina una pro­cura speciale per “vendere e trasferire a chi creda e per il prezzo che riterrà più conveniente i beni della Curia salernitana” (fonte: CorriereMezzogiorno). Così, in vista della cessione del Convento, ‘finalmente liberato’, fu affidata una perizia estimativa ad un architetto napoletano e venne inoltrata alla Soprintendenza la richiesta di dichiarare la presenza di un ‘possibile’ vincolo storico-culturale. Le fonti riferiscono che il professionista attribuì alla struttura il valore di € 6,5 milioni, con relazione del 10/05/2007 (fonte: cit.), mentre il competente Direttore Regionale del MIC, forse capo della Commissione definita CO.RE.PA.CU,, con la nota di prot. 12221 del 2009, ma apparentemente priva di data e firmata con una sigla illeggibile, attestò che l’immobile era “privo di interesse culturale e, pertanto, non…sottoposto alle disposizioni di cui al…Codice dei beni Culturali e del Paesaggio” (fonte: documento). Precisò, il Dirigente, che era stato acquisito il parere della Soprintendenza territoriale, cioè di quella di Salerno con sede a due passi da Salita Montevergine. Chissà, forse il responsabile non c’era mai stato o non conosceva il Catalogo del MIC.
Così, nel 2009, nonostante i dichiarati sforzi di Padre Tomay di acquisire l’immobile grazie all’aiuto di benefattori privati. il Convento fu ceduto alla ‘Conservatorio Immobiliare Srl’, società di Cava dei Tirreni con capitale di € 100.000 diviso tra due imprenditori di Nocera Inferiore (fonte: CorriereMezzogiorno). Il prezzo, incredibile a dirsi, fu di € 1.000.000 (unmilione). Un affare straordinario (fonte: C.M.). La Chiesa rimase alla Curia. In essa, secondo lo storico La Rocca, c’erano dipinti e statue di pregevole fattura. Già, c’erano allora. Adesso, chissà. E, qui finisce la storia con la ‘s’ minuscola.
Ciò che appare incredibile, in tutta questa avvilente vicenda, è che una dichiarazione ‘apparentemente non veritiera’ abbia negato il valore storico di un immobile religioso, di almeno 1.200 anni, la cui facciata è il muro Longobardo della Città. Un tradimento forte, a danno della Comunità, frutto probabilmente di forti motivazioni. Salvo errore. In ogni caso, un bene tutelato ‘superiormente’ dal MIC non può perdere la sua qualità a causa di una semplice dichiarazione firmata con ‘uno scippo’. Per questo, è doveroso sottoporre una accorata richiesta a chi ha il potere di ristabilire la verità. Così: “Gentile Soprintendente dott.ssa Bonaudo, per favore, faccia chiarezza nell’interesse della Cultura, prima ancora che della Comunità”. Grazie. Di cuore.
Anche perché, se si sono perse le tracce del Permesso di Costruire n. 45 del 23/03/2012 per realizzare civili abitazioni, il 28/09/2021 il Settore Urbanistica del Comune ha rilasciato ad una società che non sarebbe la proprietaria, salvo errore, l’autorizzazione paesaggistica n. 104 per “lavori di restauro, di risanamento e recupero, con destinazione residenziale, del Complesso Immobiliare ‘Conservatorio Montevergine’ in via Salita Montevergine n. 8” (fonte: Comune). Malgrado la definizione di ‘casa di Er Monnezza’ (fonte: cit.), sembra che il Convento rilasci gli stessi profumi del forziere di Paperon de’ Paperoni.
Se le radici fisiche sono la forza di un albero, come lo sono le fondamenta per un grattacielo, avendo entrambi bisogno di un solido ancoraggio per elevarsi verso il cielo, le radici culturali sono la forza di una Comunità interessata ad innalzare il livello morale, economico, sociale e spirituale dei cittadini. Prendendo atto delle difficili condizioni della nostra Città, segnata da inciviltà, ignoranza, prepotenza e sopraffazione, qualcuno dovrebbe riconoscere i suoi errori, prima che le macerie di un ‘mancato’ futuro possano sommergere tutti. Nessuno escluso.
*Ali per la Città