di Giuseppe Nappo*
Mangiare sotto le bombe. Se a Salerno città il primo bombardamento nel giorno di San Luigi aveva colto i cittadini a tavola per il pranzo, la circostanza non avrebbe avuto più repliche, i pranzi non coincisero più con gli ordigni bellici anche perché dopo le prime bombe fu sempre più difficile per la maggioranza dei salernitani mettere in tavola un pranzo. Dai primi bombardamenti trascorse circa un mese perché ci fosse un altro bombardamento massiccio sulla città. Un mese in cui i cittadini poterono riflettere sui fatti accaduti e capire l’inutilità di molte disposizioni di protezione imposta e rigidamente pretese dall’UNPA. Lo schermo di ogni vetro per ottenere l’oscuramento si era rivelato inutile perché i bengala al fosforo avevano illuminato la città con luci più luminose dal sole. La premura poi di nastrare i vetri per non farli rompere in caso di scoppi o onde d’urto non avevano avuto senso pratico visto che nei bombardamenti volavano via dalle pareti interi infissi e finanche porzioni di muri. La stessa sfiducia, se non fobia, fu riservata ai rifugi interni ai fabbricati, perché proprio nei luoghi predisposti dai militi dell’UNPA c’era stata il maggior numero di vittime, morti seppelliti vivi. Che senso avevano gli idranti se la prima a saltare in città erano le condotte idrauliche ed elettriche. Perciò la gente prese a organizzare rifugi in modo autonomo nelle campagne, scavando trincee e ricoveri di fortuna. In città fu allora che s’iniziarono a individuare come rifugi sicuri le tante gallerie ferroviarie della Salerno Napoli e della Salerno Avellino. Dopo la caduta del fascismo, lo stesso governo dovette ammettere che i cittadini erano più accorti a badare alla propria sicurezza tant’è che il commissario prefettizio incaricato non poté altro fare che normare sul modo di utilizzare le gallerie come rifugio anti bombe. Intanto divenne sempre più difficile trovare i generi alimentari razionati. In primis il pane venduto alle persone solo dietro consegna dei bollini posti sulla tessera annonaria. Le file davanti alle botteghe duravano anche ore per acquistare quantità irrisorie del bene alimentare primario. Le file erano una prerogativa di donne e ragazzi costretti ad attendere anche ore per ritirare il prezioso bene. In genere dall’acquisto del pane erano esentati i più piccolini. Uno dei motivi era di natura pratica perché essi, da veri scugnizzi, avevano imparato a elemosinare cibo davanti alla mensa presente in tutte le caserme cittadine. I militari rispetto ai civili con il servizio mensa avevano pasti garantito e più regolari e negare un minimo aiuto a un bimbo era pure allora cosa disdicevole. Ogni militare uscendo dalle caserme cittadine trovava gruppi di ragazzini che elemosinavano cibo. Occhi sgranati specchio della fame, invogliavano la maggioranza a conservare qualcosa da regalare loro. Una fetta di pane o un frutto era sufficiente ad addolcire quegli occhi sgranati in attesa. Da quando a fine maggio si erano chiuse le scuole, ogni mattina Vincenzo M. con altri piccoli di Canalone usando la galleria dal Fusandola come scorciatoia raggiungeva la caserma posta dentro il convento di San Domenico. Come gli altri aspettavano fuori al cancello i militari di buon cuore che gli offrissero qualche avanzo della colazione. Egli riusciva così a mettere qualcosa sotto. Più corpose diventavano le file di bambini per il pranzo, in quanto a fine rancio dei militari quello avanzato era diviso tra quella torma di affamati. Vincenzo conosceva il cuoco della caserma e l’omone ogni giorno gli rimediava qualcosa, tanto che la sua quota di pane giornaliero la mamma poteva dividerlo tra gli altri figli. La stessa cosa avveniva presso le altre caserme come in via Bastioni, o presso il distretto a San Domenico, in via duomo. I ragazzi della zona portuale invece frequentavano le mense dei pompieri e della marina. Insomma in ogni luogo dove si percepiva odore di cucina per i militari, s’intrufolavano nugoli di ragazzini che cercavano di recuperare cibo consumato con avidità. Non di rado per contendersi un panino o un frutto si scatenavano baruffe e litigi anche violenti. ” chi non ha patito i morsi della fame non può capire” era solito ricordare Vincenzo, sul degrado umiliante vissuto in quella situazione. In città un altro luogo dove poter ricevere cibo dai militari divenne il comando tedesco posto alle spalle della piazzetta Barracano. La loro mensa era posta in via degli Orti e aveva una corte interna in cui i ragazzini di Corso Vittorio Emanuele sostavano per scroccare la colazione. Titina G. una femminuccia vispa nei suoi ricordi dei nove anni, evidenziò la teutonica disciplina pretesa anche dai mocciosi questuanti presso i tedeschi. Se la fila disturbava con il vociare o altro tutti i bambini erano allontanati, senza ricevere niente. Pur di non essere scacciati stavano silenziosi e ordinati in perfetta fila indiana. Ogni militare finita la sua colazione usciva dal locale è consegnava quando rimastogli della colazione al primo bimbo della fila. Un tozzo di pane nero, uno o due biscotti, un uovo sodo per chi aveva più fortuna, un frutto. Ogni militare tedesco benefattore dava al primo della fila qualcosa e il ragazzo doveva allontanarsi senza attardarsi. Ogni mattina Titina era scaltrissima per essere tra i primi a mettersi in attesa e una volta ricevuto il suo cadeau “avanzo” si allontanava mangiando con voracità quando avuto, per poi riportarsi furtivamente in coda alla fila. Quando le riusciva il secondo o terzo giro, nascondeva in tasca il ricevuto per portarla a casa al fratello più piccolo. Che i tedeschi fino all’armistizio furono alleati leali, lo raccontò anche Felice P. Questo era solito girovagare tra le tende del campo tedesco posto a controllo della linea ferrovia al Paradiso di Pastena. Felice allora abitava in via Picarielli vicino al comando tedesco posto nel villino. La svastica del 3° Reich sventolava minacciosa sul cancello di ferro. Da dentro casa Felice era accorto nel sentire il rumore di apertura del cancello da cui intuiva che gli ufficiali si allontanavano con la macchina dal campo. Solo allora era solito uscire da casa per vagare tra le tende a elemosinare pane ed anche sigarette. Gli ufficiali non volevano civili intorno alle tende, invece i soldati erano meno scostanti con i civili, inoltre lui era benvoluto da tutti. Il ragazzino biondo dagli occhi celesti, doveva ricordare loro i figli lasciati a casa. Felice sapeva sfruttare queste sue caratteristiche fisiche per ottenere qualche pagnotta di pane duro nerissimo, che portava a casa e sigarette che o fumava di nascosto dai genitori, oppure scambiava con gli adulti del rione per ottenere qualche frutto. Per sdebitarsi Felice, quando poteva, portava agli amici tedeschi qualche frutto. A diversità del centro città la campagna permetteva di sentire meno i morsi della fame, in fondo l’estate è tra le stagioni, quella più ricca di frutta e Felice ai suoi amici teutonici portava volentieri qualche frutto in fondo la loro presenza in città era per difenderci. ….. Questo stato di cose si mantenne almeno fino all’Armistizio.
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