Stasera, alle ore 21, l’attesa prima del capolavoro pucciniano. Sul podio Daniel Oren con l’opera amata, croce e delizia sin dalla gioventù, la regia sarà quella di Pierfrancesco Maestrini. Nel ruolo del titolo il soprano Jennifer Rowley
Di Olga Chieffi
Attesa prima questa sera al teatro Verdi di Salerno per la Manon Lescaut di Giacomo Puccini, della quale festeggeremo i 130 anni dalla composizione. Passati in teatro per le prove generali con un teatro stracolmo di giovani, la coppia principe Manon il soprano Jennifer Rowley e il suo cavalier de Grieux Riccardo Massi, così come Lescaut cui darà voce Vito Priante han detto la loro, anche se l’assieme con l’orchestra alla cui testa c’è un consapevole e “innamorato” della pagina pucciniana Daniel Oren, e in particolare tra le sezioni resta ancora da cesellare. Con loro un buon coro, preparato da Francesco Aliberti, che ben conosce i dettami del nostro Maestro, e un cast che porterà dignitosamente a termine l’opera a cominciare da Angelo Nardinocchi, Carlo Striuli nel ruolo di Geronte De Ravoir, Francesco Marsiglia Natalia Verniol. Impressioni nel nostro “passaggio” in teatro è che il novecento pucciniano è nella mancanza di un centro che è una casa solida, quella che è emblema di un sicuro, appagato se stesso. Perché simbolicamente la casa rappresenta il tranquillo convivere con la propria interiorità, il luogo bel quale ci si trova in sintonia con emozioni e vissuti. Nel teatro pucciniano, la casetta dell’amore e della felicità non viene sentita se non come assenza, un paradiso soltanto evocato, vagheggiato o sognato. Qui in Manon, la casetta degli innamorati vale solo come ricordo impossibile, come straziato rimpianto del luogo e della stagione dell’amore che Puccini rinuncia a figurare e a cantare. Valga quale esempio “In quelle trine morbide” una pagina fatta di desolazione, malinconia e struggimento per una “dimora umile”, che l’autore non ci ha mostrato e dove la melodia sa farsi teatro. Ecco così, in questa pagina, sull’accompagnamento sincopato dei fiati, un avvio il quale dice quanto sia artificiosa la vita di Manon, nella gabbia dorata del vecchio Geronte, una “finta casa” di lussuosa assenza. Poi, sarà il fiorire della melodia a permettere di rievocare e rivivere i trascorsi poveri, quanto felici della ragazza col suo giovane cavaliere. ‘Il deserto è il destino ineluttabile che lega Manon e Des Grieux; per questi due amanti si tratta di qualcosa di fisico e metafisico: è una condizione naturale, al tempo stesso estetica, come elemento di unione sulla scena, ma anche interiore, al contrario della pagina musicale ricca di mille colori e sfumature.