Marco Baliani farà diventare un trapezista il buffone gobbo. Stasera, in Sala Pasolini, alle ore 21, lo spettacolo saluterà in scena anche il chitarrista Giampaolo Bandini e il fisarmonicista Cesare Chiacchiaretta
Di Olga Chieffi
Il Rigoletto di Giuseppe Verdi è un’opera piena di vita ma colma di ferite, di piaghe segrete che sono di certo anche quelle di Verdi stesso. Dietro l’apparenza rutilante dell’opera c’è una sorta di intimissima danza mortuaria. «Una terza bara esce da casa mia» scriveva il vecchio Verdi evocando molti anni più tardi le morti precoci e consecutive della giovane sposa e dei due figli. L’immagine è sorprendente. Lavorando sulla malinconia del personaggio di Rigoletto piuttosto che sulla sua arroganza, sulla sua fragilità segreta piuttosto che sul suo astio scoperto, si sente ciò che Verdi vi ha proiettato di sé stesso, l’abisso pronto ad aprirsi improvvisamente sotto i piedi e le contorsioni della sua coscienza per restare in piedi o integro. In sintonia con la doppia vita del suo personaggio eponimo, Rigoletto è un’opera con un dritto e un rovescio, un costume di scena e un abito da città: il dramma comincia quando i campi d’azione si mescolano, quando cede il compartimento stagno che separa la vita pubblica da quella privata. Marco Baliani andrà oltre il Rigoletto verdiano, stasera alle ore 21, in Sala Pasolini, usando però questo taglio, la melanconia, che riconosceremo anche nelle musiche, ispirate alle immortali melodie verdiane, arrangiate nello spirito di questo monologo che vede un Rigoletto agli inizi del Novecento, subito dopo la grande depressione del ’29 che è un vecchio clown appassionato d’opera, un uomo tormentato e dilaniato dal rimpianto, trapezista con una gamba sciancata causata proprio da una caduta, che riversa il suo amore ossessivo, e tutto il perduto orgoglio d’artista, sull’unica figlia, anche lei equilibrista. È in questo loro rapporto che risiede il fulcro dello spettacolo, basato sul vero conflitto nella storia di Rigoletto, quello generazionale fra padre e figlia, oltre che nella competizione smisurata fra il vecchio Rigoletto e il giovane, aitante Duca, il trapezista seduttore della figlia. Baliani non sarà solo sul palco, ma in trio con Giampaolo Bandini alla chitarra e Cesare Chiacchiaretta alla fisarmonica. Il maestro Chiacchiaretta ci ha illuminato sulla scelta musicale che vedrà in apertura il Rota dei Clowns e di Otto e mezzo, per ricreare l’ambientazione circense, in cui si ascolterà anche il tema originale che schizza il personaggio “Rigoletto claudicante”, il tutto in minore, sghembo, come lo sarà anche la Donna è mobile, trasformato in Milonga. Cesare Chiacchiaretta ha quindi composto una vera e propria fantasia con i temi dell’opera, da “Questo o quella” a “Caro nome”, fino al quartetto “Bella figlia dell’amore” e “Si vendetta, tremenda vendetta”, alla ricerca di un equilibrio che ha fatto passare la formazione originaria che era un quintetto, ad un duo. Un Rigoletto che non è lontano da Canio col quale è legato a filo doppio, entrambi guardiani e buffoni, mostrano la crudeltà e la sofferenza nascoste dietro la maschera che frappongono tra loro e chi li circonda. Ridere è una funzione sociale fondamentale che esorcizza qualcosa che non vogliamo vedere. Il pagliaccio diventa, così, metafora della vita umana e dell’esistenza. Una lotta tra la forma perfetta e l’informe materia di cui siamo composti, ma diventa sempre di più una figura simbolica non soltanto dell’esistenza, ma anche dell’artista, di chi si esibisce. L’attore, ad un certo punto, vuole togliersi il trucco per confessarsi, l’atto più profondo e autentico che si possa offrire al pubblico, incarnando una figura più complessa: Canio e Rigoletto tolgono la maschera per essere autenticamente compresi.