Alberto Cuomo
La nostra città, grazie a uomini come Filiberto Menna e Marcello Rumma, ha primeggiato negli anni 60-70, sul piano internazionale, nel campo dell’arte. In quegli anni Menna, anche preside della Facoltà di Lettere, primo cattedratico italiano in Storia dell’arte contemporanea, con l’appoggio della galleria allestita da Rumma, sostenne l’Arte Povera che, per i suoi valori culturali tra l’informale e il Dada, si affermò sul mercato internazionale conquistando anche l’America, dove Germano Celant, suo mentore, divenne curatore di mostre presso il museo Guggenheim di New York. Più tardi, negli anni 80, un altro salernitano, Achille Bonito Oliva, allievo di Menna, fu a sua volta ideatore critico della Transavanguardia, che raccoglieva alcuni pittori italiani, pure condotta al successo internazionale. Fa un certo effetto quindi, per chi ha vissuto quei tempi vedere dilettanti allo sbaraglio muoversi nel campo dell’arte nel nome di Menna, ipotizzando possibili musei d’arte moderna e contemporanea a Salerno, oltretutto in edifici del tutto inidonei, come è accaduto per la proposta di utilizzare all’uopo il vecchio tribunale. Nei giorni recenti si è poi rifatta strada l’idea di adibire a museo d’arte la cosiddetta “Palazzina Liberty” di Fratte, pure richiesta dalla Polizia Municipale, che fa capo all’assessore Tringali, quale propria sede. Sede degli uffici delle ex Manifatture Cotoniere Meridionali, la palazzina, fatta costruire alla fine dell’800 da Federico Alberto Wenner, l’industriale svizzero che fondò le industrie tessili nella valle dell’Irno, sebbene non sia a sua volta adeguata a divenire museo, a meno di non oscurare le sue ampie finestre, forse meglio accoglierebbe un centro studi con documenti riguardanti l’industrializzazione del Mezzogiorno in presenza dell’archivio storico delle Manifatture Cotoniere, il più importante d’Italia, ora custodito dalla Soprintendenza. Un’altra idea, esternata già all’atto del passaggio dalla proprietà di Gianni Lettieri a quella del Comune, l’avrebbe il sindaco Vincenzo Napoli che, inseguendo un proprio sogno risalente al 1986, quando da assessore all’urbanistica indisse il convegno “Per una città possibile”, ben vedrebbe nell’edificio liberty un “Museo della città” con documenti riguardanti l’evoluzione urbana di Salerno. Collocata fuori dal circuito strettamente cittadino, la palazzina però, sia per la sua tipologia, sia per la difficoltà ad accedervi da parte di eventuali visitatori non motorizzati, appare non utile ad accogliere un museo d’arte. Né vale, come è stato fatto su queste pagine, richiamare la necessità di alloggiare la collezione-Menna, donata da Bianca, la moglie di Filiberto, per rolevare l’ambiguità di Tringali diviso tra le spinte del sindacato della Polizia municipale, che insiste nell’avere una sede più degna di quella di via dei Carrari, e la promessa da ex presidente della Fondazione Menna di allocare le 300 opere della collezione in un edificio di alto valore estetico. Probabilmente, prima di pensare ad un possibile edificio, sarebbe il caso di catalogare le opere e stampare il catalogo rendendo pubbliche le immagini del patrimonio regalato ai cittadini. È noto che, oltre alle opere d’arte, sono stati donati alla Fondazione gli 8000 volumi della biblioteca personale di Menna. Ma, mentre per la schedatura e la digitalizzazione dei testi sono stati impegnati attraverso la Regione fondi europei, niente si sa della catalogazione delle 300 preziose opere. È stata, forse per questo, ipotizzata la possibilità che la collezione, attraverso l’attuale presidentessa della Fondazione, Maria Letizia Magaldi, possa essere dirottata presso il Museo Madre di Napoli, amministrato dalla Fondazione Donnaregina che vede la stessa Magaldi, in un probabile conflitto di interessi, vicepresidente. Ipotesi implausibile dal momento la gran parte delle fondazioni italiane dedicate all’arte, costituite con fondi pubblici e privati, collezionisti e banche, più che interessate ad aumentare il proprio patrimonio museale, sono intese ad utilizzare i musei amministrati per valorizzare le opere di proprietà degli sponsor, con mostre e manifestazioni che, utilizzando il denaro pubblico, espongono i lavori di artisti da far lievitare nei prezzi attraverso la pubblicizzazione e lo scambio con altre fondazioni. Basti pensare che nel recente passato il consiglio di amministrazione della Fondazione Donnaregina, ovvero del Madre, vedeva tra i suoi vertici uomini che si occupavano della Fondazione Morra, di fatto una galleria privata in una sovrapposizione di interessi pubblici e privati. In attesa che possibili privati entrino nella Fondazione Menna, con nuove risorse economiche, quanto si deve pretendere, subito, è la catalogazione delle opere regalate da Bianca Menna ai cittadini salernitani. Ai fini poi di un possibile museo non può non valutarsi la tipologia e il rapporto con la città. I musei infatti sono di solito ciechi, con illuminazione diffusa dall’alto. Coloro che insistono nel proporre edifici, guardassero il museo archeologico salernitano, dove la maestria di Ezio De Felice utilizzò gli archi in facciata per fare da schermo alla grande vetrata posteriore, arretrata e messa obliqua, in modo da ottenere, da un lato, la trasparenza tra interno ed esterno propria alle arcate storiche e l’ombra sui vetri tale da non far illuminare in maniera diretta gli oggetti esposti. Un edificio possibile potrebbe essere uno degli antichi conventi-ex carceri in modo da realizzare anche una continuità tra la Pinacoteca provinciale, il Museo archeologico, il Tempio di Pomona adibito a temporanee, il Museo arcivescovile, L’archivio di Stato, il nuovo museo, la sala Scacco-Vaccaro, il “museo” botanico, ovvero il giardino della Minerva, palazzo Fruscione e il museo a cielo aperto che è il Centro Storico.