Donato Salzano*
Grazie al Procuratore della Repubblica di Salerno, ha ragione da vendere quando afferma: “il carcere è una discarica sociale”. Purtroppo da decenni, mica da oggi o da ieri, detenuti e detenenti sono condannati alla stessa infame detenzione illegale. Gran parte dei Tribunali inadempienti dal 1975 (legge ordinamento penitenziario) per la mancata costituzione del “Consiglio di aiuto sociale” (CAS). Da anni la capienza illegale si concretizza quale criticità cronica: tossicodipendenti, disabili psichici e psichiatrici, malati cronici, migranti e poveri cristi. Questa parte del carcere deve essere in parte da subito strutturalmente svuotata, popolata da anime in pena come in un girone dantesco, persone che non dovrebbero proprio essere lì, hanno urgente bisogno di un trattamento specifico e differenziato, ma soprattutto immediato un deferimento della pena alternativo a quelle spesso fatiscenti e insalubri mura. Pensare che la legge prevede la custodia in carcere quale “extrema ratio”.
Il carcere è il cimitero dei vivi, un luogo senza spazio e tempo, un luogo di sofferenza, una discarica sociale appunto, scartati, rifiuti umani trattati quale carne da macello, custodi e custoditi ammassati gli uni sugli altri come agnelli sacrificali sull’altare della ragion di Stato. Ma il sovraffollamento nelle carceri italiane, esiste, non se lo sono mica inventato Marco Pannella, Rita Bernardini, Nessuno Tocchi Caino e il Partito Radicale. All’uopo già si pre-occupò di noi la Corte europea dei diritti dell’uomo, certificandone in modo patente la violazione dei diritti umani con l’arcinota esemplare sentenza pilota “Torreggiani” (2013), che condannò il nostro Paese per il sovraffollamento nelle stanze di detenzione, disponendone l’obbligo di rientro immediato (entro l’anno) nella legalità della Convenzione europea dei diritti dell’uomo (Cedu). A nulla valse poi in proposito neanche il monito del Presidente emerito Giorgio Napolitano ai tempi Capo dello Stato (“è fatto obbligo per chiunque ricopra ruoli apicali ..”), nel suo famoso e unico messaggio della storia repubblicana al Parlamento (ex art. 87 Cost.), trattato per questo come si tratta un Radicale qualunque.
Ciò nonostante, sopravvenuta anche la diffida al rispetto dell’art. 3 Cedu per l’intera giurisdizione italiana (settembre 2013) presentata da Pannella e dall’avv. Giuseppe Rossodivita (che sia chiaro recita: “Dei trattamenti inumani e degradanti, tradotto la violazione dei diritti umani, la tortura), con l’invio di 675 missive indirizzate ai Presidenti dei Tribunali Italiani, ai Procuratori Capo di tutte le Procure Italiane (ivi compresa quella di Salerno), ai Presidenti degli Uffici Gip di tutti i Tribunali Italiani, ai Direttori delle Carceri italiane, e a tutti gli Uffici di Sorveglianza della Repubblica. La diffida, incardinò il dispositivo appunto della sentenza pilota, sul caso Torreggiani ed altri, della Corte Europea dei diritti dell’Uomo e motivò perché attualmente decine di migliaia di detenuti, sia in esecuzione pena, sia in custodia cautelare, sono sottoposti ad una pena o ad una misura, tecnicamente illegale. La diffida indicò per di più quale adeguata, necessaria strada per garantire il rispetto di fondamentali ed elementari diritti umani, quella di paralizzare, in presenza della certezza che il trattamento e/o la pena siano illegali (a partire dal superamento del numero della capienza legale, ma non solo), l’emissione degli ordini di esecuzione della pena, sul modello già tracciato dalla Corte Costituzionale Federale Tedesca di Karlsruhe (il numero chiuso negli istituti di pena).
Prevalse e prevale ancora oggi la ragion di Stato contro lo Stato di diritto che, con buona pace dei tanti Presidenti del Consiglio succedutisi, in Italia è, per le condizioni dell’amministrazione della Giustizia e delle carceri, totalmente assente. La Corte Costituzionale, la giurisdizione, la renitente “magistratura” italiana, non decise allora e continua a non decidere ancora oggi se tornare o cominciare a rispettare essa stessa la Costituzione e le leggi o se, per “supplire” (sic!) alle inadempienze della politica e delle istituzioni, continua in una mostruosa, terribile continuità ad essere complice della loro permanente flagrante violazione. L’essere speranza anziché averne, dare speranza ad altri rifugiatisi nella scorciatoia della disperazione, essere speranza oltre ogni speranza come nel Paolino “Spes contra spem” della Lettera ai Romani è invece la cifra della militante consapevolezza tutta nonviolenta, che vede nella centralità della pannelliana transizione verso lo Stato di diritto l’obiettivo di una lotta politica che non può solo sostanziarsi all’intera “Comunità penitenziaria” , ma anzi da essa e a partire da questa per denunciare un procedimento penale altrettanto illegale dall’irragionevole eterna durata e dal macigno di numeri sui ruoli non più oltremodo sostenibili. A ragione di ciò urgentissima da decenni l’unica riforma di per sé costituzionalmente strutturale, quell’Amnistia che è per la Repubblica più che per i malcapitati detenuti, accompagnata ad un indispensabile provvedimento d’indulto, affinché come prescrive il dettato della Costituzione la magistratura sottoposta soltanto alla legge ritorni ad essere ordine e non potere. Dove c’è strage di diritto, si sa c’è la continua inarrestabile la strage di popoli.
*segretario Associazione Radicale “Maurizio Provenza” aderente a “Nessuno Tocchi Caino” associazione costituente il Partito Radicale Nonviolento Transnazionale e Transpartito