“Nel nostro Paese ci sono contratti collettivi siglati con minimi salariali nettamente al di sotto della soglia di povertà. Da tempo stiamo proponendo di individuare i contratti nazionali di riferimento per ciascun settore produttivo con i relativi minimi salariali come unico percorso praticabile eliminando il dumping contrattuale e la concorrenza sleale tra imprese e l’utilizzo dei contratti pirata che impoveriscono le tasche delle famiglie italiane. Bisogna intervenire inserendo una soglia di dignità, frutto di una retribuzione proporzionata e sufficiente a garantire una vita dignitosa a tutti i lavoratori”. Queste le parole dell’ex ministra del Lavoro Nunzia Catalfo (senatrice del M5s in Commissione Lavoro a Palazzo Madama) nel corso del webinar “Obiettivo lavoro: da solido a liquido cosa sta cambiando e come intervenire” promosso dalla Cassa di previdenza dei ragionieri e degli esperti contabili, presieduta da Luigi Pagliuca. “Sul piano della qualità del lavoro – prosegue Catalfo – abbiamo elaborato il rafforzamento del fondo ‘nuove competenze’, da me istituito, e al piano nazionale da noi proposto che prevede anche la possibilità per le Regioni di stipulare accordi con gli enti di formazione e l’istituzione di poli formativi nell’ottica di rilevare le esigenze del mercato rendendo coerenti i percorsi di formazione con le esigenze delle imprese colmando il miss match che in alcuni settori esiste ancora”. Il tema della digitalizzazione è stato ripreso Antonio Viscomi (capogruppo del Partito Democratico in Commissione Lavoro a Montecitorio): “Innovazione e occupazione devono necessariamente procedere di pari passo. Non può esserci nuova occupazione senza innovazione. In Italia troppe volte abbiamo scelto di procedere in maniera contraria, riducendo i costi, a partire da quelli sulla sicurezza. E i risultati sono sotto gli occhi di tutti. Bisogna puntare sulla qualità. Servono sostegni pubblici su innovazione, formazione e sull’aggiornamento delle competenze. Devono cambiare anche le regole del lavoro, a partire dalla determinazione dei salari e dei prodotti. Da trent’anni assistiamo alla questione salariale e oggi si parla tanto dei salari minimi. Un termine che a me non piace, preferirei parlare di salari giusti. I successi delle aziende sono costruiti sui lavoratori; è da quest’ottica che dobbiamo ripartire. Il lavoro in questo momento sta diventando più gassoso che liquido e questo non va bene. Leghiamo le politiche del lavoro alle politiche industriali – conclude Viscomi – se vogliamo vincere le sfide di mercati sempre più competitivi. Basta con i tentativi di stare nel mercato abbattendo i costi”. La necessità di sostenere le imprese è stata sottolineata da Graziano Musella (deputato di Forza Italia in Commissione Lavoro della Camera): “L’abbattimento del costo del lavoro e del cuneo fiscale è assolutamente prioritario per il nostro Paese prediligendo misure che incentivino le imprese non solo a mantenere i livelli occupazionali ma anche a procedere con nuove assunzioni. Gli interventi fatti in passato sulle questioni legate al mondo del lavoro in questo momento dovrebbero essere ripensati valutando la possibilità di intervenire sull’economia reale invece di sostenere misure assistenziali come il reddito di cittadinanza. Serve lavoro più stabile rispetto alla situazione attuale. La stabilizzazione dei lavoratori – aggiunge Musella – da sicurezza all’economia del Paese, perciò bisogna puntare ad ampliare la disponibilità del mercato del lavoro. Il salario minimo è un elemento aggiuntivo una volta stabilizzato il mondo del lavoro con limiti da stabilire di concerto con le forze sindacali e superando una serie di barriere. Diminuire le tasse a chi assume e alleggerire il carico fiscale in busta paga, sono gli unici provvedimenti in grado di far riparte l’economia”. Secondo Giorgio Trizzino (deputato di Azione in Commissione Affari sociali): “La nostra società è radicalmente cambiata la trazione economica si è spostata dal concetto di proprietà e stabilità del lavoro al concetto di mobilità delle ricchezze e fluidità del lavoro. Il problema dell’incertezza del lavoro non è determinato solo dall’inesistenza del salario minimo o dall’instabilità del lavoro ma dall’incapacità della società e della politica di creare quel necessario substrato formativo che sia capace di stare al passo con i tempi. Le nostre scuole di formazione sono anacronistiche le nostre università non abituano i nostri giovani alla nuova tipologia del lavoro che c’è sul mercato. I grandi professori non mettono i giovani nelle condizioni di sviluppare scelte lavorative innovative. Se il mercato del lavoro fosse stato conosciuto dagli esperti e ci fosse stata una minore superficialità nell’affrontare questo tema non avremmo avuto queste sorprese. Lo scandalo non è il numero di persone che accedono al reddito di cittadinanza – rimarca Trizzino – ma lo scandalo sta nel fatto che si continua a creare posti di lavoro nelle zone di lavoro dove servono di meno. Mentre il mezzogiorno resta abbandonato senza investimenti sia nel pubblico che nel privato”. Il punto di vista dei professionisti è stato illustrato da Mario Chiappuella (commercialista e revisore dei conti dell’Odcec di Massa Carrara): “Una progressiva flessibilità del lavoro si sta traducendo in una forte incertezza sui redditi e, di riflesso, sui consumi. In questo quadro l’introduzione nel dibattito politico del tema del salario minimo ha acceso un dibattito aspro tra i fautori dei benefici, dal punto di vista sociale, e quelli che sottolineano la necessità di agire con incentivi alle imprese piuttosto che con misure assistenziali. Nel frattempo, tra i vari effetti della pandemia emerge un dato del tutto nuovo nel mercato del lavoro che ha fatto registrare il tasso di dimissioni più alto degli ultimi 20 anni. Molti lavoratori, specie al Nord, stanno riflettendo sul futuro e sono alla ricerca di lavori che possano conciliare la parte reddituale e la qualità della vita. Sull’altro fronte, assistiamo al paradosso di richieste di lavoro che non trovano risposte nel mercato. Un esempio chiaro che la vera sfida è proprio quella di coniugare salari equi e qualità della vita”. Le conclusioni sono state affidate a Paolo Longoni (consigliere di amministrazione della Cnpr): “I quattro grandi temi intorno ai quali ruota la questione del lavoro in Italia sono quello salariale, la precarietà che si nasconde dietro una errata interpretazione del concetto di flessibilità, il costo del lavoro con l’eterna discussione della riduzione del cuneo fiscale e il tema della necessità di innovazione e qualità. La crisi occupazionale non si risolve affrontando uno solo di questi problemi. Serve affrontarli tutti insieme, in modo circolare, con quella concretezza che deve essere uno degli obiettivi principali della politica”.
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