Omicidio Pennasilico, I Di Meo lasciano il carcere e tornano a casa - Le Cronache
Provincia Primo piano Giudiziaria Giffoni Sei Casali Cronaca

Omicidio Pennasilico, I Di Meo lasciano il carcere e tornano a casa

Omicidio Pennasilico, I Di Meo lasciano il carcere e tornano a casa

di Pina Ferro

Morte del pastore di Sieti di Giffoni Sei Casali, Domenico Pennasilico, imputati a casa. Una sentenza che sicuamente non si sarebbero mai aspettati i familiari del pastore trucidato nel 2019 sui Monti Picentini. Nel pomeriggio di ieri, la Corte di Assise di Salerno ha condannato a 18 anni di reclusione i fratelli Nicola e Franco Di Meo (attualmente ai domiciliari) e, ad un anno e 8 mesi Bruno di Meo. La pubblica accusa aveva chiesto, la scorsa settimana, la condanna a 23 anni per i fratelli e, a 21 anni per Bruno Di Meo, figlio di Nicola. Il processo è stato celebrato con il rito dell’abbreviato che ha fatto si che gli imputati beneficiassero dello sconto di pena di un terzo. Una sentenza che ha lasciato senza parole i familiari del pastore ucciso e i legali. “Siamo molto colpiti dalla decisione della Corte di Assise di Salerno. – Hanno affermato gli avvocati della famiglia Pennasilico, Massimo ed Emiliano Torre – Davvero non riusciamo a spiegarci come persone condannate per omicidio possano liberamente tornare a casa. attendiamo le motivazioni per capire come verranno spiegate queste decisioni. Da garantisti possiamo essere leiti del fatto che una Corte ritenga delle persone non colpevoli fino a condanna definitiva; però ci rendiamo conto, perchè non siamo nati ieri e di questi processi ne facciamo tanti, che tutta la vicenda giudiziaria che riguarda la morte del povero Domenico Pennasilico è la dimostrazione del funzionamento sgangherato e schizzofrenico della Giustizia, non solo a Salerno ma anche in italia. L’unica vera sfida oggi è quella per la giustizia giusta e onesta, per lo stato di diritto.” Il delitto avvenne in zona “Cerzoni” sui monti Picentini il 23 aprile del 2019. Stando alla ricostruzione operata dagli investigatori, nel primo pomeriggio del 23 aprile, era martedì in Albis, Domenico Pennasilico si trovava insieme con il figlio tra le alture per recuperare alcuni bovini che si erano allontanati dalla solita zona di pascolo. All’improvviso, vengono esplosi due o tre colpi d’arma da fuoco verso Generoso Raffaele che fortunatamente non vanno a segno. Ad entrare in azione sono state più persone. Nel frattempo anche contro Domenico vengono esplosi dei colpi di arma da fuoco. L’uomo riesce a chiamare il figlio e, ad esortarlo a mettersi in salvo perchè gli stavano sparando addosso. Quella conversazione, per Domenico sarà l’ultima perchè, quasi in contemporanea, viene ferito alla regione sacrale e, a una coscia da un primo colpo di fucile a pallettoni esplosi dai Di Meo. Poi, viene “finito” con un secondo colpo esploso a un metro e mezzo di distanza. Intanto, Generoso Raffaele allerta il 112. In quella, il figlio riferisce che il padre è vittima di un agguato, che non riesce più a mettersi in contatto con lui e rivela anche quella che lui suppone sia l’identità dell’autore degli spari. Poche ore dopo, Domenico Pennasilico viene ritrovato morto nei pressi di un torrente ai piedi di un dirupo. Ed è lì che, probabilmente, avrà perso anche il cellulare, mai più trovato. Generoso Raffaele, grazie a una maggiore agilità dovuta alla giovane età è rimasto incolume. Sia l’esame esterno del corpo che la successiva autopsia hanno confermato che la vittima è stata colpita da più proiettili. L’ultimo, nella regione dorso lombare, gli ha causato lo sfacelo degli organi interni e vitali e in particolare del parenchima-splenico e polmonare. L’attenzione dei carabinieri e del magistrato titolare del fascicolo, si è immediatamente concentrata su di Di Meo, sia perchè riconosciuto dal giovane Pennasilico come il responsabile dell’agguato, sia per le analisi fisiche del Ris di Parma sui capelli e pantaloni. Agli inquirenti, Bruno Di Meo, durante l’interrogatorio avvenuto nel corso della notte tra il 23 ed il 24 aprile,racconta che quelle tracce erano dovute al fatto che era andato “a sparare ai caciocavalli per la Madonna di Carbonara”.

1 Commento

    Be’ che dire una legge al quando leggera un giudice molto molto leggero con prove , intercettazioni ambientali molto chiari con un testimone molto attentibile e chi ne ha più ne metta non è servito i di Meo hanno ucciso mio padre ma la legge me la ucciso x la seconda volta ma io sono ancora fiducia in questa legge e continuiamo ad andare avanti

Comments are closed.