Giuseppe “Peppuccio” Tornatore ha presentato lunedì sera, nel teatro Charlot di Capezzano il film dedicato al grande musicista. Emozioni, colori, ricerca di un compositore sottomesso unicamente all’arte e alla musica
Di Olga Chieffi
Battesimo prestigioso, lunedì sera, per il cine-teatro Charlot, uno spazio da poco riqualificato grazie al coraggio e alla sfida intrapresa e vinta da Gianluca e Valentina Tortora, figli d’arte di papà Claudio, non solo sul palcoscenico ma anche quali operatori e imprenditori culturali, che avuto quale ospite Giuseppe Tornatore, il quale, in esclusiva per la nostra regione, ha presentato il docu-film dedicato ad Ennio Morricone. Un prima della prima alla presenza del sindaco di Pellezzano, Francesco Morra, nonchè delegato all’urbanistica alle politiche culturali e alla valorizzazione del patrimonio culturale della provincia di Salerno, del prefetto Francesco Russo e di Domenico Apicella Direttore del DITAS – Laboratorio didattico e di ricerca Unisa, che naturalmente hanno invitato a ritornare il regista avendone la radice nel proprio cognome. Quindi, l’intervista con Giuseppe Tornatore, il quale ha toccato diversi temi, tra cui quello del ritorno al cinema, di riprendere quella abitudine, di rivivere la magia, l’atmosfera, l’attesa che può offrire solo la sala cinematografica. Quindi, la realizzazione di “Ennio”, nato da una lunga intervista fatta da “Peppuccio” a Morricone, tanti anni fa. Di lì i 140 minuti di documentario realizzati rivedendo tutti i 500 film che vantano la colonna sonora a firma di Ennio, immagini, spezzoni d’archivio, oltre le interviste alle “stelle” che compaiono nel film, apportando il proprio contributo in una partitura musicale, da Dario Argento, Bernardo Bertolucci, Liliana Cavani, Clint Eastwood, Quincy Jones, i fratelli Paolo e Vittorio Taviani, Gianni Morandi, Nicola Piovani, Dulce Pontes, Bruce Springsteen, Enrico Pieranunzi, Oliver Stone, Quentin Tarantino, Carlo Verdone, John Williams, Hans Zimmer, lo stesso Giuseppe Tornatore, e attraverso le loro parole la nascita di tanti temi indimenticabili. Dietro quelle colonne sonore sonore che tutti conosciamo, fischiamo, canticchiamo, e vengono eseguite da qualsivoglia formazione, ragazzini, bande, orchestre giovanili, concerti da camera, grandi arene, c’è l’uso elegante di tecniche modernissime, come il serialimo e la musica concreta, combinate con elementi di popular music, influssi folk, canti celtici, canto gregoriano, trombe mariachi e un complesso di esecutori della taglia di un’orchestra sinfonica. In “Il buono, il brutto, il cattivo”, Morricone usa una melodia convenzionale, suonata da una chitarra elettrica, un’ocarina, e un’armonica, accanto a strumentazioni di tipo ancora meno convenzionale che includono il fischio, jodel, grugniti, vocalizzazioni talvolta irriconoscibili come umane, schiocchi di frusta e fucilate. Morricone ha voltato le spalle alle convenzioni hollywoodiane per il western e alla loro enfatizzazione dei profili melodici e dei caratteri armonici propri delle canzoni tradizionali e dell’inedia, e, così, ha definito un nuovo modello di riferimento per la colonna sonora di questo genere. Ma Ennio Morricone è tanto altro. In primo luogo è stato un trombettista, e il suo strumento è protagonista di tanta sua musica, a cominciare dal concerto Ut per tromba, percussioni e archi. Allievo di Goffredo Petrassi, si divise sin dall’inizio tra una libera adesione al serialismo (Musica per 11 violini, 1958) e la musica leggera. Sul versante colto, oltre all’adesione nel ’65 al gruppo Nuova Consonanza e all’alea, si segnala dagli anni ’70 una crescente produzione da concerto, caratterizzata da un’ eclettica commistione di stili e da una vena lirico-sarcastica: Secondo Concerto per flauto, violoncello e orchestra (1985), Riflessi per violoncello (1990), e la messa per papa Francesco, la sinfonia ispirata all’attacco alle torri gemelle di New York. Ma il versante “colto” e quello delle colonne sonore non si è mai diviso, poiché la musica è stata una rivincita sul senso di colpa che ha provato per l’accusa da parte del mondo accademico di essersi allontanato dalla purezza e dalla sacralità di quell’ambito, che poi svanirà attraverso la nota inviatagli dal suo compagno in classe di composizione.Morricone scende anche nel linguaggio tecnico, ma il risultato non è assolutamente pesante perché la complessità della musica è spiegata dai gesti e dalle “imitazioni” del Maestro. Colpisce, in particolare, quel suo metodo personale di pensare prima e scrivere poi le partiture per tutti gli strumenti contemporaneamente, come i grandissimi, Beethoven, Mozart. C’è il contrappunto in Metti una sera a cena, c’è la serialità offerta dalle lettere del nome di Bach nel Clan dei siciliani, la tecnica della conduction nei thriller di Argento, la ricerca timbrica e le poliritmie nei film di Petri, la musica concreta, melodramma e folk nei film di Leone, il serio divertimento popolare in Pasolini e Verdone, l’ispirazione dei concerti settecenteschi e la struttura del mottetto in Mission, le claves di Sostiene Pereira, la tromba di Lacerenza suonata tra le lacrime del Pugno di Dollari, il ritmo arrembante in Allonsanfàn della scena madre del film con sotto l’ esaltante Rabbia e Tarantella che è l’essenza del cinema dei fratelli Taviani, della loro epicità, i quali spiegano che avendo intuito la parola “melodia”, non volevano a priori sentirla. Ma la musica ama il silenzio, va “ascoltata” e così da un connubio di tempo e immagini nacque quel capolavoro. D’altra parte dice Ennio “io sono fatto di tutto quello che ho studiato”. Nel film da vedere, non incontriamo solo Ennio, la sua musica, il suo comporre attuato prevedendo tutto o quasi, da grande scacchista quale era, ma ci scorrono dinanzi le sequenze dei grandi capolavori del cinema, italiano e internazionale, di cui la sua musica è stata assoluta protagonista e che continua ad essere citata, suonata e arrangiata dai musicisti di tutti i generi, giungendo vincitrice fino alla fine dei tempi.