«Bofill ha lavorato bene, ma chiamare le archistar è scelta provincialistica» - Le Cronache
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«Bofill ha lavorato bene, ma chiamare le archistar è scelta provincialistica»

«Bofill ha lavorato bene, ma chiamare le archistar è scelta provincialistica»

di Gianmaria Roberti

Non vuole farsi risucchiare dalla guerra di religione scoppiata intorno al “partito del Crescent”, e agli strali lanciati da Sgarbi e Bofill al convegno sulle politiche urbanistiche di sabato scorso, perché “questa riguardo la conferenza di De Luca è una polemica che va al di là dell’architettura”. Però Uberto Siola, per vent’anni preside della facoltà di Architettura a Napoli, rileva che “esiste il problema di un certo provincialismo alla base della scelta di rivolgersi ad architetti stranieri”. Sì insomma. L’irresistibile richiamo delle archistar è “un modo per qualche sindaco di lucidarsi con nomi altisonanti, che in realtà magari non conoscono bene la realtà in cui vengono a progettare”. Siola è uno dei massimi conoscitori del tema. Alla Federico II di Napoli ha promosso l’istituzione del Dipartimento di Progettazione Urbana e ha fondato la Scuola di Specializzazione in Progettazione Urbana. Oggi è direttore del Centro Interdipartimentale di Progettazione Urbana “Luigi Pisciotti” e presiede la Fondazione Internazionale per gli Studi Superiori di Architettura, che realizza a Napoli iniziative sui problemi connessi alla relazione tra la città e i suoi spazi pubblici. Professore, quindi pollice verso per le archistar? «Guardi, non si può fare di tutta un’erba un fascio». Che intende? «Tra le cosiddette archistar ci sono anche interventi riusciti». Ma anche no Quella di Calatrava, ad esempio, è un’esperienza riuscita male. E a Salerno, come giudica questi interventi? «Lei mi vuole ancora trascinare nella polemica sul Crescent e su De Luca, ma io voglio andare oltre, il problema non è quello della singola esperienza». Ma un’idea se la sarà fatta. E si tratta di una vicenda emblematica del rapporto tra politica e urbanistica, almeno negli ultimi periodi. «Va bene, glielo dico. Secondo me a Salerno ha dato buoni risultati. Gli architetti stranieri, limitatamente a questa esperienza, hanno lasciato una buona impronta. Opere che possono piacere o non piacere, mi rendo conto. Però ripeto: non mi pare una questione centrale». E qual è il punto? Anche se a Salerno le scelte urbanistiche di De Luca sono state azzeccate, perché non ci chiediamo come mai non ha preferito rivolgersi ad architetti con una conoscenza più approfondita della città? Quindi lei dà un giudizio positivo anche del Crescent? «Sì, il Crescent mi piace. Ma così come Bofill ha realizzato un’opera valida, potrei dire che Zaha Hadid è stato invece distruttivo laddove ha operato. Il problema delle Archistar, mi creda, è un falso problema. Una questione che si vuole montare per forza». Ma esiste una questione legata al gigantismo di certe costruzioni, all’eccesso di spettacolarità legato alla presenza delle archistar, sotteso magari alla megalomania del committente? «Non esiste, davvero». Perché no? «Il gigantismo non è di per sé una cosa cattiva, ci mancherebbe. È semmai la stupidità dei nostri tempi che ce lo dipinge così, portati come siamo al minimalismo». Mi faccia un esempio allora «Ma lei preferisce le grandi cartiere di Amalfi o certe schifezze dell’architettura moderna? Non sono le dimensioni a determinare la qualità di un’opera. Questa è una polemica che non ha motivo di essere. Esiste una buona architettura o una cattiva architettura. Questo è l’unico discrimine. Lei, dal suo punto di vista, vuole affrontare il tema in termini generali. Ma mi dica, tra queste archistar, quello che ha ottenuto i risultati più strabilianti. Visto che i nomi di quelli che non le piacciono già li ha fatti… «Trovo che a Barcellona il lavoro di Morales e di Bohigas sia stato assolutamente straordinario». Si fa strada un utilizzo alternativo delle archistar. Ha visto che Renzi vuole affidare a Renzo Piano il restauro delle scuole pericolanti in Italia? «E fa bene. Per una volta l’architettura entra nella vita del Paese e fuoriesce dalle elucubrazioni artificiali. Entra nella carne delle persone. Perché l’architettura non è un giochetto per intellettuali, ma serve a migliorare la vita del popolo. Alcuni di noi, anche per affermare questo principio, hanno dato anni della loro esistenza al Paese». Professore, lei non vuol soffermarsi sulle polemiche suscitate dall’ultimo convegno di urbanistica a Salerno, in cui Sgarbi ha preso di mira un’opera del Razionalismo, come Palazzo di Città. Però esiste una questione riguardante il giudizio su questa corrente architettonica. Lei cosa ne dice? «Tanto di cappello al Razionalismo, è stato l’ultimo stile architettonico in Italia. Forse qualcuno può anche giudicare pacchiano Palazzo di Città. Ma il Razionalismo è una pagina storica per il Paese».