In occasione del Giorno della memoria: Salerno e i profughi dalmati, la storia - Le Cronache
Cronaca

In occasione del Giorno della memoria: Salerno e i profughi dalmati, la storia

In occasione del Giorno della memoria: Salerno e i profughi dalmati, la storia

Una verità comune in tutte le guerre è che queste si rivelano come frullatori d’identità dove il debole è costretto a soccombere. Capita spesso che persone e comunità con identità e storie personali territorialmente distanti si trovassero a contatto fino a essere centrifugate diventando un miscuglio indistinguibile come risultato. Tra l’inverno 1943-44 e la fine degli anni cinquanta del 900 questo accadde a molte Etnie che subirono l’occupazione dei nazi fascisti. Così accadde anche per una comunità di Italiani che tra le due guerre si trovarono a vivere nella terra di confine dell’Istria. La giornata del ricordo doverosa per la tragedia delle foibe, spesso non indaga sulle diatribe militari o politiche, della genesi storica e quali contraccolpi portò l’armistizio in quella specifica area geografica non ricorda i profughi, gli ultimi, le tante famiglie che in quella disputa furono travolte. No italiani, volutamente ho scritto gli ultimi perché il prezzo delle guerre, ieri e oggi, lo pagano sempre gli ultimi! Per loro non è necessario specificare la razza, l’etnia o la bandiera. Il dramma istriano non iniziò a fine della guerra ma era iniziato già dopo l’8 settembre con i bombardamenti angloamericani nel nord est della penisola. Da quei bombardamenti si avviò l’esodo dalla città di Zara e poi lentamente di tutta la comunità italiana dell’Istria, di Fiume e della Dalmazia, sino allo svuotamento dalla famigerata Zona B del Territorio libero di Trieste avvenuto nel 1956, un decennio dopo la fine della guerra! Allora centinaia di migliaia di cittadini italiani furono obbligate a lasciare le loro terre d’origine, passata sotto la sovranità jugoslava, per raggiungere la penisola, spinti o costrette a tale scelta da un complesso di ragioni psicologiche, politiche, sociali, economiche, culturali. Furono tra le 250.000 e le 300.000 le persone della comunità giuliano-dalmata, in maggioranza italiana ma non solo italiani, obbligati a lasciare la Dalmazia per spostarsi in Italia. I profughi dalmati furono ospitati in 109 centri di raccolta sparpagliati in tutte le regioni in campi che sorsero in un’Italia distrutta e rabberciata, già in affanno per dare un tetto ai residenti. Allora per ospitare i profughi si utilizzarono caserme dismesse, dividendo le camerate con tramezzi di legno se non cartone per ricavarne stanze, di scuole e seminari dove pesanti coperte di lana separano lo spazio tra un nucleo familiare e l’altro, di baraccopoli costruite nei campi sportivi. Nella provvisorietà e nella promiscuità, i profughi non vissero solo l’emergenza di qualche mese, ma per periodi assai più lunghi. Passo molto tempo prima di ritrovare la normalità di una casa e la prospettiva di un futuro, essi aspettarono cinque anni, sei, in molti casi persino dieci. Alcuni, più fortunati, si avvalsero di relazioni familiari o amicali dirette riuscirono a trovare lavori adeguati e sistemazioni decorose nei luoghi, dove erano ospitati. Molti altri, di fronte alle difficoltà d’inserimento, scelsero una nuova emigrazione tanto da farsi convincere al trasferimento in Australia o in America. La maggioranza, invece, si arrabattò come poté, tra lavori precari e marginalizzazione, con il marchio del “campo profughi” cucito sulla pelle. Storia di miserie e di abbandoni, di violenza fisica e politica, di malinconie e di amarezze che per loro si perpetrò per anni. Nel giorno del ricordo se si vuol fare un egregio servizio bisogna ricordare anche il rovescio della medaglia che è storia di dignità morale tra le comunità istriane e dalmate, ma di chi li accolse come Salerno. Bisogna essere onesti fu un’accoglienza non certo entusiastica ma privo di ogni atteggiamento ostile, tanto il dolore per i caduti nella grande guerra era cocente, visto che tanti salernitani, troppi, erano caduti la conquista di quelle terre: Salerno, per il sangue versato dai suoi figli nella grande guerra, aveva dedicato vialoni a Trento e Trieste e annoverava tra i suoi figli illustri l’eroe del Timavo: Giovanni Randaccio. Troppi gli interessi che si erano scatenati per il possesso della Dalmazia tanto che furono Il crogiuolo esplosivo della pulizia etnica ordito dai Titini sfociato nelle foibe anti-italiani. A iniziare dal 1943 la comunità internazionale, per questa e per altre rivendicazioni etniche, come per situazioni simili come la nascita dello stato di Israele fu il caso storico più clamoroso tanto che ancora oggi non è risolto, istituì l’Amministrazione delle Nazioni Unite per l’assistenza e la riabilitazione (UNRRA). Un’organizzazione a guida statunitense, concepita per affrontare la prima fase dell’emergenza umanitaria dei profughi che scappavano o erano costretti a farlo verso le aree geografiche controllate dal blocco occidentale. L’UNRRA fu attiva in Italia come sostegno tra alleati operò nei territori che andavano a liberarsi dall’occupazione Nazifascista e operò con tali finalità fino al 1949 quando l’assistenza ai profughi fu sostituita da IRO (Organizzazione Internazionale Rifugiati). Questa si occupò prevalentemente del rimpatrio degli sfollati provenienti dal blocco comunista o in alternativa del loro reinsediamento in paesi di nuova accoglienza. L’IRO gestiva due tipologie di campi. In primo luogo essi si occupavano dei campi sorti per accogliere i profughi arrivati in Italia e destinati a trattenervisi per qualche tempo in attesa di completare ogni procedura autorizzativa per entrare in altri paesi ospitanti. A questa tipologia di assistenza erano demandati i campi profughi salernitani per l’accoglienza degli Istriani. Infatti, in città era presente con una sede autonoma del Comitato provinciale “Profughi Giuliani e Dalmati” con ufficio posto all’interno del Palazzo della Provincia che si occupò dei campi di Pagani, un ex ospedale con una capienza di 900 persone, Mercatello a torre Angellara, S. Antonio di Pontecagnano ex Campo di Prigionia tedesco e Villa Alba a Cava dei Tirreni.In secondo luogo l’IRO assisteva e amministrava quanti venivano in Italia soltanto come tappa di transito, pronte a imbarcarsi per paesi disposti ad accoglierli. A S. Antonio di Pontecagnano un’ex caserma con 145 posti-letto fu utilizzata per accogliere profughi non italiani ma appartenenti alle diverse etnie slave come macedoni, albanesi, bosniaci o croati. Sono particolari le vicissitudini del campo profughi di Torre Angellara in quando fu individuato come campo profughi proprio il “rest camp” alleato. Le baracche in lamiera, già utilizzate dalle truppe alleate in occasione dell’Operazioni Avalanche, furono messe a disposizione delle famiglie provenienti dalle regioni dalmate. Immaginiamo come dovettero sentirsi quelle persone ospiti a Torre Angellara quando avvenne l’alluvione del 1954, e quelle case di fortuna furono rapidamente svuotate per accogliere gli alluvionati di Vietri e Canalone. Gli istriani presenti in quelle baracche erano quelli che aspiravano a tornare nella zona B, allora ancora contesa tra Italia e Jugoslavia. Ultimi tra gli ultimi, costoro furono ancora trasferiti in altri campi profughi, e furono quelli che non rientrarono più nelle loro case in Dalmazia spesso integrandosi con i salernitani. Perché molti esuli istriani pur restando sempre molto legati alla loro terra d’origine tanto da vivere il loro soggiorno tra noi come da esiliati in patria s’integrarono in varie attività lavorative e qualcuno divenne anche celebre: come non ricordare Rino Santin, quello che fu allenatore della Cavese istriano di Rovigno e cavese d’adozione. Anche tra i profughi ospitati nel capoluogo salernitano e confluiti nelle baracche del “Rest Camp” Alleato, a Torre Angellara ci furono molti che s’integrarono, lo attestano i tanti salernitani, che oggi portano le desinenze “C” e “CH” arrivati ben prima dei facoltosi arrivi di calciatori, serbi e croati dei nostri giorni. Giusto che nel Giorno del Ricordo siano previste le iniziative per mantenere la conoscenza dei tragici eventi come le Foibe però con la loro sempre più approfondita conoscenza storica non si disconosca quanto si tentò di fare allora a livello internazionale, nazionale e territoriale anche qui nel salernitano a beneficio di quella popolazione.
Giuseppe MdL Nappo Gruppo scuola dei
Maestri del Lavoro SA