Pisani, la vita dura da indagato a capo della Polizia - Le Cronache
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Pisani, la vita dura da indagato a capo della Polizia

Pisani, la vita dura da indagato a capo della Polizia

di Antonio Manzo
Vittorio Pisani è il nuovo capo della Polizia. Notizia di quattro giorni fa, cioè “vecchia” e superata. Perché riprenderla? Se fosse stato ancora vivo Massimo Bordin, mitica voce della rassegna stampa ormai storica di Radio Radicale, non avrebbe esitato a offrire la notizia con un particolare analitico nell’Italia del giustizialismo. Si sarebbe, inevitabilmente complimentato non senza aver “letto” la buona notizia con il compiacimento dovuto. Perché Bordin, giornalista rigoroso ma anche coraggioso, avrebbe subito commentato la notizia con il titolo che volle dare ad un significativo saggio su Leonardo Sciascia. avrebbe detto con parole nette ricordando l’avventura di Vittorio Pisani emblematica della difficile (e sospettosa) convivenza tra magistrati e investigatori. Sì, perché Vittorio Pisani, allora capo della Squadra Mobile di Napoli a poche settimane dalla cattura del capo dei Casalesi Michele Zagaria capo del clan dei Casalesi finì sotto inchiesta della procura di Napoli, calunniato da un pentito per presunto favoreggiamento e rivelazione di segreto di ufficio. Fu indagato non solo ma anche destinatario di una misura cautelare blanda ma molto offensiva. A Vittorio Pisani fu emesso dai giudici napoletani l’obbligo di dimora. Cioè non doveva più stare a Napoli. incredibile ma vero. I giudici italiani, avrebbe ben spiegato Massimo Bordin, continuavano a mandare in galera o a inquisire gli investigatori di punta inseguiti con azioni penali poi clamorosamente fallite come era già capitato con il generale Mario Mori, comandante dei Ros che catturò Totò Riina, il prefetto poliziotto Franco Gratteri che aveva catturato Leoluca Bagarella (scontò un anno agli arresti domiciliari), il questore Renato Cortese. E poi gli inquisiti con le stellette, i generali Giampaolo Ganzer e Antonio Subranni, i colonnelli De Caprio (capitano Ultimo) i maggiori Obinu de De Donno vittime colpite nella dignità umana e nelle carriere con dolore anche per le loro famiglie.
Quando all’inizio del 2011 Pisanì finì nel registro degli indagati, il pentito Salvatore Lo Russo lo accusò di aver comunicato a un imprenditore, nei cui locali veniva riciclato il denaro della camorra, dell’esistenza di un’indagine sul suo conto. A Pisani fu contestato il favoreggiamento e la rivelazione del segreto d’ufficio: bastava questo per “mascariarlo” e colpirlo nella carriera con ipotesi di reato infamanti e processarlo per due volte: assolto la prima «perché il fatto non sussiste» e con formula piena anche la seconda. Vittorio Pisani consegnò alla giustizia, dopo anni di latitanza, boss del calibro di Antonio Iovine e Michele Zagaria. Era un funzionario perfetto ma soprattutto inocente, dopo quattro anni di calvario giudiziario.
Eppure nel 2011 la procura di Napoli, allora guidata dal procuratore Giandomenico Lepore, lo indagò spedendolo in «esilio» con un divieto di dimora. E quando i suoi difensori si rivolsero al tribunale del Riesame per chiedere l’annullamento del divieto di dimora, il gip non solo disse no, ma nelle motivazioni riportò un verbale d’interrogatorio nel quale il boss pentito Salvatore Lo Russo affermava di aver consegnato a Vittorio Pisani anche del denaro, facendo così scattare l’accusa di corruzione.
Ma i magistrati, appoggiandosi sulle parole del pentito, in primo grado chiesero quattro anni di galera e l’interdizione per cinque anni dai pubblici uffici.
Nel dicembre del 2013, però, il tribunale di Napoli respinse le loro richieste e assolse l’ormai ex capo della squadra mobile, nel frattempo passato a Roma chiamato a dirigere lo Sco e poi l’Ufficio immigrazione. Il giudice, infatti, scrisse dopo l’assoluzione in primo grado che quel procedimento «ha finito per trasformarsi in un processo alla sua carriera, alla sua moralità, in altre parole alla sua stessa persona e di riflesso all’importante ufficio cui era preposto (…), all’intero percorso lavorativo dell’alto funzionario, alle sue metodiche e scelte operative, alla sua gestione dei rapporti personali, professionali e non». Aveva ragione quel giudice ora che Pisani è stato promosso capo della Polizia, con un successo personale e politico dei ministri Matteo Piantedosi e Matteo Salvini. La carriera di Pisani fu salvata da una deposizione all’epoca del mai dimenticato Antonio Manganelli che ebbe coraggio civile e onestà intellettuale di testimoniare a favore di Pisani dagli inquirenti napoletani (fu ascoltato dai pm Sergio Amato e Renata Parascandalo). I pm avevano chiesto due anni di reclusione per Pisani. Ora lo Stato gli restituisce onore e dignità come avvenne per il prefetto Alessandro Pansa diventato capo della Polizia. Anche lui fu vittima dei pm napoletani, sia pure per una accusa più banale rispetto a quella di Pisani. All’epoca della emergenza rifiuti a Napoli l’allora prefetto Alessandro Pansa fu indagato in un’inchiesta che parti con 25 arresti con l’accusa di non aver vigilato, pensate un po’, sul fiume di percolato nelle montagne di rifiuti di Pianura. Indagato Pisani per accuse gravi dai pm napoletani promosso capo della Polizia, indagato Pansa per indagine penale ma di fango ( il legittimo intervento dell’allora capo dei pm Lepore sventò un esito clamoroso dell’inchiesta). Ma ce lo smacco subìto da Pisani che sarà difficilmente rimovibile: fu quello del divieto dell’obbligo di dimora a Napoli proprio nelle ore della cattura di Zagaria. Mentre i suoi uomini lo osannavano per il successo lui non poté partecipare alla conferenza stampa a Caserta. Se ne andò a Roma, impedito di festeggiare con i suoi uomini. Nelle stesse ore alcuni magistrati napoletani litigavano tra di loro per assicurarsi la supremazia dell’inchiesta su Zagaria e il merito della cattura facendo esplodere il loro contenzioso anche nelle stanze di un quotidiano napoletano. Pisani era già a Roma in attesa di diventare capo della Polizia dopo essere stato anche vicedirettore dell’Aisi (vice direttore dei servizi segreti) ma soprattutto avendo inanellato prestigiosi successi professionali. Conosceva e conosce bene le dinamiche criminali fino al punto da definire inutile la scorta per Roberto Saviano. . Eppure, lui era il poliziotto nemico giurato dei superboss.