Ragazzi autistici, la battaglia delle mamme: Non ci lasciate soli - Le Cronache
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Ragazzi autistici, la battaglia delle mamme: Non ci lasciate soli

Ragazzi autistici, la battaglia delle mamme: Non ci lasciate soli

di Erika Noschese
«Le istituzioni non ci lascino da soli»: questo l’appello lanciato dalle famiglie di ragazzi autistici che, oggi, si ritrovano ad affrontare tutte le difficoltà da sole, senza poter contare sul sostegno degli enti preposti. Nei giorni scorsi Rita Francese, mamma di Oreste, aveva raccontato il suo sfogo attraverso i social; successivamente, tanti genitori si sono uniti a lei in quella che si è trasformata in una vera e propria battaglia per la civiltà, al fine di consentire ai loro figli autistici, ormai divenuti adulti, di poter vivere serenamente anche nelle condizioni di compromissione più grave. A far da portavoce all’appello delle famiglie proprio Rita Francese che, nel silenzio assordante delle istituzioni, vive sulla propria pelle tutte le difficoltà relative alla gestione di un figlio autistico di livello 3, che adesso ha 30 anni.
«Prima si parlava solo di autismo grave poi, con il passare degli anni, le cose sono cambiate ma non in meglio, tutt’altro! In occasione del 2 aprile, giornata della consapevolezza dell’autismo, ci siamo resi conto di quanto si parli sempre e solo dei casi lievi o ad alto funzionamento nei bambini, quando i veri problemi subentrano in età adulta – ha detto la Francese, ricordando proprio l’autodeterminazione che accompagna queste persone – quando ormai i nostri figli diventano impossibili da gestire, sotto tanti punti di vista. Molti autistici non sono autonomi, parecchi non potranno mai entrare nel mondo del lavoro. Alcuni hanno bisogno di assistenza costante, fino a 17 ore al giorno. I nostri figli sono molto diversi da Shaun Murphy di “The good doctor” o da Sheldon Cooper di “The big bang theory”». Le persone con autismo hanno delle peculiarità in comune ma sono tutte diverse, le une dalle altre. Richiedono trattamenti multidisciplinari e personalizzati, e molte volte non hanno ricevuto nessun trattamento riabilitativo adeguato, oppure è stato somministrato loro solo trattamento farmacologico. «Questo non va bene! Del resto, va precisato che un paziente con autismo severo ha scarsissimi margini di miglioramento, soprattutto se è già adulto: tuttavia si deve e si può mirare alla sua serenità quotidiana, al suo benessere e alla sua tranquillità, in modo che possa dolcemente trascorrere le sue giornate con regolarità, senza traumi. È importante che le persone con autismo severo mantengano le scarne abilità acquisite, e che trascorrano del tempo in ambienti socialmente stimolanti perché, a dispetto delle credenze metropolitane, anche le persone autistiche di livello severo amano stare tra la gente, se ci sono adeguate condizioni inclusive. A Salerno – ribadisce la Francese – non ci sono esperti in grado di gestire adulti autistici di livello 3 anzi e il più delle volte l’impreparazione degli operatori incide negativamente sul benessere dei nostri cari, aggravando le nostre difficoltà familiari». E poi l’appello al Comune e al mondo delle istituzioni in generale: «Un aiuto fondamentale potrebbe arrivare dai Comuni, dagli enti associati, magari da centri idonei convenzionati, ma la verità è che spesso coloro che dovrebbero darci una mano, a livello istituzionale, non sanno cosa fare; a volte ci viene chiesto di proporre noi delle iniziative ma noi siamo genitori, non siamo dei medici! Siamo davvero in tanti ad avere queste difficoltà! Le problematiche dello spettro autistico sono molteplici e coinvolgono anche persone ad alto o medio funzionamento, che spesso si ritrovano a fare i conti con discriminazioni di vario genere e problemi di inclusione e socializzazione; tuttavia le nostre difficoltà (quelle dei genitori di autistici adulti di livello 3), oramai cronicizzate, sfociano in problemi di sopravvivenza vera e propria. Manca, a tutt’oggi, un aiuto concreto che possa permettere alle nostre famiglie di tirare un sospiro di sollievo. Servono programmi idonei che riabilitino le facoltà cognitive anche per gli autistici adulti, come accade per i bambini autistici. Il metodo Aba, che oggi è utilizzato solo per questi ultimi, potrebbe essere applicato anche agli adulti o per i casi più gravi, e studi effettuati in America dimostrano che ci sono utili margini di miglioramento. Perché non utilizzarlo anche qui, da noi? Bisognerebbe però formare i pochissimi terapisti in modo adeguato, perché il metodo Aba è riconosciuto e certificato, e questo è purtroppo un gap importante, difficile da colmare – ha poi aggiunto Rita Francese – Servirebbero attività sportive pensate ad hoc per ciascuna persona autistica, da attivare a diversi livelli per rendere omogenei gli interventi e agire per gravità dei casi. Allo stato attuale delle cose, le associazioni a livello locale non si fanno proprio carico dei pazienti di livello grave, fermandosi ai casi lievi e medi, ed è per questo che non abbiamo possibilità di aiuto dalle istituzioni. Gli adulti con autismo hanno la possibilità concreta di imparare a governare le loro ansie ma devono essere seguiti da personale idoneo, che al momento non c’è!».