di Alfonso Liguori
È certamente un fatto curioso della mia vita che deve avere una qualche spiegazione nell’inconscio: non ho una fotografia assieme alle persone cui ho voluto bene e che hanno avuto nella mia vita una importanza sia professionale che esistenziale. Parlo, ovviamente, di coloro che non ci sono più, come Mario Ferrero o Peppino Patroni Griffi.
Mi è giunta la triste notizia che se n’è andato anche Sergio Solli. Sergio, per coloro che non lo sapessero, era un attore napoletano, nato professionalmente con Eduardo De Filippo, e che è poi divenuto popolare con tanti ruoli cinematografici. Per i più è “lo spazzino” di “Così parlò Bellavista”. Detto ciò, quando la notizia mi è arrivata grazie all’amica e collega Irma Ciaramella che si è preoccupata di avvisarmi – cosa che al tempo d’oggi pare non usi più – mi ha colto una profonda tristezza, questo non ostante detta notizia fosse in qualche modo attesa, dato che Sergio era da un po’ che stava male, entrando e uscendo dagli ospedali.
Ebbene, tra i vari pensieri uno si è proposto alla mente con nettezza: non ho una foto con Sergio. Come non ce l’ho con Peppino, con Mario, con Valeria, con Giulio… Foto di scena escluse, ovviamente, ma immagini di vita, di momenti semplici, a un tavolo, per la strada, in casa non ne ho.
Con Sergio ho passato tante estati nella sua amata Agerola. Lì aveva una simpatica casa, piena di ninnoli colorati, di oggetti spiritosi, bizzarri, il più delle volte inutili, che amava comprare in giro per l’Italia e che teneva con la cura che si riserva alle opere d’arte.
Non immaginate una reggia, era un semplice appartamento, in quello che allora, sto parlando degli anni 90, era un simpatico paese, ancora semplice, contadino, e senza troppe pretese. Nella nostra Agerola c’erano solo due ristoranti, anzi un ristorante e una pizzeria; e il circolo dove andavamo a giocare a carte la sera era una specie di capanno in un giardino con tavoli e sedie. Tutto qua. La vita vi scorreva leggera, dal belvedere si scorgevano sotto di noi Amalfi e la Costiera in tutto il loro splendore, ma pure in tutta la loro confusione di turisti ai quali non amavamo mischiarci.
Anche perché noi, su ad Agerola ci andavamo principalmente per provare. In quelle estati abbiamo allestito, infatti, praticamente tutti gli atti unici di Eduardo, qualcuno di Peppino e di Scarpetta, e un paio di deliziose commedia di Giorgio Melazzi che con Sergio era amico. Dal paese, poi, partivamo e andavamo in giro per la Campania, o la Calabria, o il Lazio, a fare spettacolo.
Lo spirito era un po’ quello della Compagnia all’antica italiana, con un repertorio a disposizione a seconda delle richieste. Tutto quello che serviva per gli allestimenti stava nei bagagliai delle nostre station wagon, più il furgone con luci e fonica. Agilità, velocità e disponibilità massima verso il committente erano le nostre leggi.
Andavamo dovunque ci chiamassero, teatri al chiuso, all’aperto, circoli, piazze, anche discoteche o pizzerie, contava fare spettacolo, stare in allegria, divertirsi e soprattutto far divertire con serietà e impegno. Perché la prima cosa che ho imparato con Sergio è stata che non conta se fai lo “scavalcamontagna”, ma la serietà che metti nel lavoro, e noi, in un teatro o in una osteria, mettevamo sempre lo stesso impegno. È stato così che siamo andati avanti per anni, per tante estati belle e divertenti, estati piene di sole.
Sulla comicità ho imparato da Sergio più di quanto abbia imparato da tanti altri grandi artisti.
La vita poi è stronza, e ci ha portato lontano l’uno dall’altro, ma l’affetto è rimasto sempre intatto, da parte di entrambi. Gli ho voluto bene come lui me ne ha voluto, e tante cose anche private sono accadute in quelle stagioni: amori, liti, passioni, risate, confidenze, segreti, perdoni e tradimenti.
E racconti, tanti racconti che porto nel cuore, sulla sua vita, su gli anni con Eduardo, con De Crescenzo. E aneddoti che riguardano noi, proprio noi, che a ripensarci mi fanno sorridere di tenerezza più di tutto il resto.
Non devo dire nulla a Sergio. Lui sa già tutto, ora più di prima. Tranne che… non ho una foto, Sergio, non ho una foto di noi, insieme, nella vita di tutti i giorni, per la strada o in casa, o al bar. Posso solo conservare la memoria, e lo farò finché le forze me lo consentiranno. Poi tutto si dissolverà con noi, anche i ricordi, anche il sorriso. Fin quando ci rivedremo. Ma ho intenzione di metterci molto tempo, Sergio, molto, molto tempo, ma prima o poi arriverò per forza. Tu intanto saluta gli amici per me, io intanto cercherò di raccontare di te a chi vorrà ascoltare la nostra piccola e sorridente storia.
Ti voglio bene.