Palamara: Proveranno a fermare Nordio - Le Cronache
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Palamara: Proveranno a fermare Nordio

Palamara: Proveranno a fermare Nordio

di Peppe Rinaldi
Se la parola Giustizia puoi scriverla anche in minuscolo significa che ti stai confrontando con ciò che riguarda gli uomini. E gli uomini sono quel che sono, cadono, si rialzano, a volte sprofondano, spesso galleggiano e volteggiano. Se poi la giustizia la leggi come fondamentale interfaccia della dialettica, complicata e irriformabile, tra società persone e principi e se, ancora, la conosci dal di dentro come la conosce Luca Palamara, puoi allora provare a interpretarne i segni attuali e futuri. Parlando con l’uomo che è riuscito a divincolarsi dalla tagliola di un “sistema” incarnato fino a poco prima (il controllo e la presidenza della potentissima Associazione nazionale magistrati), per di più predisponendo un contrattacco fulmineo attraverso la pubblicizzazione di quanto avveniva nei cerchi infernali della magistratura italiana, Tempi ha tentato di stimolare la lettura dell’attualità politica proprio su questo terreno alla luce della “rivoluzione” annunciata dal nuovo ministro della giustizia, Carlo Nordio.
Entriamo subito in medias res, come dicono quelli che parlano bene: con i suoi propositi di riforme radicali in tema di intercettazioni, carriere separate tra giudici e pm e carceri, Nordio la sfangherà secondo lei?
«Io penso che Nordio abbia posto un problema serio che, come tale, deve essere affrontato non rifugiandosi in argomenti pretestuosi del tipo “Nordio vuole togliere le intercettazioni e ridurre la lotta alla criminalità” perché il punto riguarda questo aspetto ma più in generale la possibilità di utilizzare le intercettazioni per fini estranei al processo penale. Basta vedere quello che sta accadendo nella vicenda del cosiddetto Qatargate. In questo caso le intercettazioni vengono utilizzate nell’ambito delle indagini e non come clava nei confronti di terzi estranei al processo forse perché in questo caso nessuno le ha passate ai giornalisti italiani. Io penso che in questo momento tanti cittadini italiani vogliono che il tema della giustizia sia affrontato non in chiave punitiva, ma in chiave riformatrice. E, da questo punto di vista, penso del Nordio la spunterà».
Quale delle tre tracce programmatiche citate vede più facilmente malleabile e quale meno?
«Tutte presentano aspetti problematici, quella più difficile rimane storicamente il tema della separazione delle carriere. Sul tema delle carceri penso che sarà più facile arrivare ad una convergenza».
Gliel’avranno già chiesto mille volte ma ripetiamoci: il reato di abuso d’ufficio, col quale di certo si sarà misurato più volte nel corso della sua carriera, lo abolirebbe?
«Nei fatti, l’abuso di ufficio, così come prevede il codice, è una norma residuale. Tuttavia, nell’ambito della pubblica amministrazione ha avuto l’effetto di paralizzare in qualche modo l’operato degli amministratori locali bloccando in tanti casi la firma degli atti. Io sono dell’idea che i controlli debbano assolutamente funzionare ma che, allo stesso tempo, l’azione della pubblica amministrazione si debba svolgere senza intoppi e, soprattutto, sono dell’idea che l’indagine giudiziaria per questi tipi di reato non deve in alcun modo sovvertire la volontà popolare. Tradotto: se un sindaco è indagato per abuso di ufficio perché non ha rilasciato un permesso a costruire non per questo, in caso di sentenza di condanna in primo grado, deve abbandonare il ruolo che esercita e per il quale è stato scelto dai cittadini. Più opportuno e aderente ai principi costituzionali sarebbe quello attendere che la vicenda penale si concluda integralmente».
Quindi lo modificherebbe?
«Il reato di abuso di ufficio ha avuto già due grandi modifiche nel 1990 e nel 1997. Nell’applicazione pratica la norma ha però dato luogo a costanti oscillazioni giurisprudenziali (basti pensare alla natura normativa dei piani regolatori generali). Ritengo che ci saranno commissioni di studio per affrontare la problematica sotto il profilo della necessaria precisione e tassatività della norma».
Quanta fiducia ha rispetto all’ipotesi di cambiamenti veri nel mondo della giustizia, penale e anche civile, alla luce della straordinarietà del programma enunciato dal nuovo Guardasigilli che è pur sempre il programma di un governo?
E ovvio che il percorso sarà tortuoso e che ci saranno ostacoli nel cammino. Si metteranno in moto i meccanismi consolidati: opposizione dell’Associazione nazionale magistrati; quotidiani di riferimento; magistrati e professori emeriti che grideranno all’attentato all’autonomia della magistratura e alla immodificabilità della Costituzione invocando il nomos Basileus.
Detto questo, penso però che tutto ciò non fermerà la voglia di cambiamento anche in considerazione del fatto che all’interno della magistratura ci sono tanti magistrati che in qualche modo vogliono depoliticizzare la magistratura e battersi per una giustizia più giusta nell’interesse dei cittadini».
I suoi libri, scritti con Alessandro Sallusti, hanno avuto un successo straordinario: ci sono stati contraccolpi, percepiti o meno, sulla vicenda giudiziaria complessiva che la riguarda?
«Penso che una parte del sistema inevitabilmente abbia accentuato la sua propensione a difendere il fortino. Allo stesso tempo tanti magistrati e larga parte dell’opinione pubblica hanno capito che esiste un problema giustizia in Italia che deve essere affrontato non in chiave punitiva o di vendetta nei confronti della magistratura ma nell’ottica di rendere un servizio efficiente ai cittadini garantendo agli stessi giudici terzi ed imparziali e migliorando le qualità di lavoro di questi ultimi».
Si aspettava reazioni diverse da parte degli apparati giudiziari dinanzi al grande disvelamento operato attraverso il suo caso?
«Sinceramente, da un lato, non potevo immaginare che il racconto interessasse una così larga fetta dell’opinione pubblica e che il libro potesse essere quello più venduto negli ultimi venti anni. Dall’altro, per quanto riguarda gli apparati giudiziari, è andata come immaginavo esattamente».
Con la riforma Cartabia, a suo giudizio, abbiamo avuto qualche miglioramento vero oppure è stata un pannicello caldo?
«La riforma Cartabia è stato un pannicello caldo perché non ha avuto il coraggio di affrontare quello che è emerso dal 2019 ad oggi e cioè il tema della correntocrazia e gli aspetti patologici nel rapporto tra magistratura e politica e tra magistratura e informazione».
Come sta oggi, secondo lei, l’Anm?
«L’Anm sta scontando i problemi che ci sono stati nel recente passato legati ad una crescente disaffezione da parte di tanti magistrati verso strutture che sono oramai obsolete e che come tali non riescono a porsi in chiave costruttiva e propositiva per riformare la giustizia in questo Paese.