Quanta grazia in queste “Nozze” - Le Cronache
Spettacolo e Cultura Musica teatro

Quanta grazia in queste “Nozze”

Quanta grazia in queste “Nozze”

Belle e giovani voci per la “folle journée mozartiana. Su tutti il Cherubino di Miriam Albano, seguito dal Conte d’Almaviva Clemente Daliotti che è tornato nel suo teatro. Figaro è un Robert Gleadow con poco volume e molto gigione. Pulita e attenta la direzione di Giovanni Conti, sulle tracce di Riccardo Muti

Di Olga Chieffi

E’ un’opera piena di musica “Le Nozze di Figaro”, una folle journée senza cedimenti, per quanto si canta in palcoscenico e si suona in buca. In primo luogo, bisogna che il primo plauso vada proprio al Teatro Verdi e al suo direttore artistico Daniel Oren, per questo portrait dedicato a Wolfgang Amadeus Mozart, donato al suo pubblico in successione, grazie alla produzione franco-svedese  Drottningholm Slottsteater, in coproduzione con Chateau de Versailles spectacles. Il secondo applauso va certamente al ventiseienne Giovanni Conti, il quale ha optato per una concertazione vivida, su di giri e di colore, aliena da un settecentismo di maniera, sulle tracce del suo maestro Riccardo Muti, alla testa di una Orchestra Giovanile Luigi Cherubini attenta e agli ordini, con qualche esuberanza di troppo da parte degli ottoni e qualche discronia con i cantanti, ma piacevole senza pretese riduttive di certa malintesa filologia, in particolare nella sottolineatura dell’intima religiosità nell’antefinale, ovvero il perdono della Contessa. A questa condivisibile impostazione i singoli cantanti hanno corrisposto con doti vocali indubbie e con varia attitudine interpretativa. Sembra destino (ed evidentemente il difetto deve stare un pochino nella partitura stessa mozartiana, al cui equilibrio vocale nuoce l’assenza d’un vero tenore) che nelle Nozze di Figaro, i meriti del settore femminile prevalgano su quelli degli interpreti maschili. A Salerno abbiamo avuto una Contessa impeccabile, Lucrezia Drei, dalla vocalità ricca e piena, che ha cantato senza mai trascendere in eccessi di vivacità quasi veristica, come qualche volta, invece, è accaduto per la Susanna di Arianna Vendittelli, la quale ha invaso il palcoscenico con la sua vivace presenza vocale e scenica. Su tutte e tutti il Cherubino di Miriam Albano, che si avvia ad essere una mozartiana patentata ed è già una stilista di classe. Anche Valentina Coladonato si è vantaggiosamente distinta nei panni sussiegosi della governante Marcellina, e Manon Lamaison, piccola e brava, ha fornito figura e voce adatte al personaggio di Barbarina, con quella sua enigmatica aria di ricerca della spilla perduta, che sembra condensare tutta la tristezza del mondo nell’affanno di una bambina che ha perduto un oggetto importante. Dal lato maschile si è notata robustezza ed energia d’impostazione vocale. Qui l’ha vinta la splendida voce di Clemente Daliotti, il Conte d’Almaviva, molto “grande di Spagna”, aristocratico e distintissimo, nelle movenze, il contrario del protagonista popolare, quel Figaro di Robert Gleadow, voce con poco volume, carente nelle sfumature, in diversi punti sovrastata dall’orchestra, eccessivamente vivace e gigione nella recitazione. Caricaturale e ai limiti del buon gusto, il tenor comico Paco Garcia, che si è calato nel doppio ruolo di Don Basilio e Don Curzio mentre, dignitoso il ruolo svolto da Norman Patzke, che ha offerto buona voce a Bartolo (ben accoppiato nella comicità pretenziosa dei genitori di Figaro) e al giardiniere Antonio, nei cui panni fa un’apparizione esagitata e risentita, di tratti forti, unico popolano in contrasto con la signorile distinzione degli altri personaggi, signori e cameriere, che abitano nel palazzo. Applausi convinti per tutti, anche ricordando, quelle Nozze d’esordio nel nostro massimo, oltre vent’anni fa ben realizzate con sole cinque piante di limoni in scena.