Il culto dei morti e le tradizioni salernitane: “u’ canisto” - Le Cronache
Ultimora

Il culto dei morti e le tradizioni salernitane: “u’ canisto”

Il culto dei morti  e le tradizioni  salernitane: “u’ canisto”

di Salvatore Memoli

Nei tempi antichi, molti secoli indietro, la commemorazione dei defunti si svolgeva in un giorno qualsiasi della settimana che non era sempre lo stesso. Furono i benedettini  di Cluny, in Francia, che nel 990 stabilirono la data del 2 novembre per la commemorazione dei defunti. A questa decisione si uniformò l’Abbazia di Cava dei Tirreni, fondata da Alferio Pappacarbone, nobile salernitano, che ebbe la sua vocazione monastica, in tarda età, a Cluny.

A Salerno, prima di questa decisione, il giorno dei morti settimanale era stato sempre il lunedi. Moltissime erano le persone che si recavano a trovare i propri defunti, cominciando dal mattino con fare la comunione in suffragio di essi. Quando il giorno della commemorazione fu definito per il 2 novembre, era tradizione dei salernitani approfittare del giorno 1° di novembre, giorno di tutti i santi, di recarsi al camposanto, per dare un aspetto decente alla tomba dei propri defunti. Pochi erano quelli che avevano una tomba di famiglia o un fosso distinto. Normalmente le sepolture erano pubbliche e decennali, quindi in terreno senza sopraffate di tombe. Si tagliava l’erba, si aggiustava il cumulo di terreno e, se si faceva in tempo, si faceva “u’ canisto”. Si trattava di piantare intorno alla tomba delle bacchette flessibili, interrate con le due punte, lasciandovi fuori un semplice archetto a forma di cerchio. Le bacchette si accavallavano all’altra precedente e davano alla tomba la forma di un canestro, da cui dialettalmente “u’ canisto”. 

La tradizione voleva che sulla tomba si accendessero quattro ceri, da 300 a 400 grammi ciascuno. I ceri accesi vi restavano fino a consumazione e se vento o pioggia non permettevano di farli consumare, si portavano a casa ove venivano accesi davanti ai quadri dei defunti, fino a consumazione.

Sulle tombe si portavano fiori, in prevalenza crisantemi, simbolo della mestizia, benché fioriscano in autunno inoltrato.

Prima di partire per il cimitero, le famiglie preparavano una grossa pigatta di fagioli, che lasciavano sul fuoco ricoperta di cenere calda, in modo da trovare cotti i fagioli  al loro ritorno. C’era chi portava al cimitero la colazione che veniva mangiata sul posto, poiché si restava nel Pio luogo per l’intera giornata, prevedendo il rientro dopo la consumazione dei ceri, al crepuscolo.

In prossimità delle tombe, per lo più le donne, recitavano il rosario, ripetendolo più volte, in suffragio dei defunti. Lungo il percorso per andare al cimitero si trovavano numerose bancarelle che offrivano ceri e fiori.

In prossimità del vecchio cimitero, quello dell’area Vestuti-Piazza San Francesco, si trovava, prima del ponte della ferrovia, a sinistra salendo, la “Premiata fabbrica di candele di cera, steariche e lumini da notte” del Cav. Luigi Gallo ( in via dei Principati 53), benemerito commerciante pluripremiato a Parigi e a Salerno. La casa era stata fondata nel 1984, mentre nel 1930 subì un rilevante incendio.

Soltanto nel 1860, a Salerno si stabilì un fotografo chimico, così si definiva, di nome Weintraub, il quale aprì uno studio fotografico. Fu così che le donne, ai ceri, al materiale per pulire le tombe, la colazione per la famiglia, si sobbarcarono anche il trasporto di grossi quadri, con pesanti cornici e vetri.

Con l’apertura del nuovo cimitero, i salernitani, per la commemorazione dei defunti, iniziarono il lungo pellegrinaggio verso il camposanto, che non era collegato da mezzi pubblici mentre agli abitanti più abbienti era possibile poterci arrivare in carrozzella.

Sin dalle prime ore del mattino, la via Irono si riempiva di una fiumana umana di persone che si portava al cimitero, con il flusso di ritorno, nelle ore serali. Anche quando, durante gli anni trenta, fu portata la linea tramviaria a Fratte e il biglietto costava 45 centesimi, nove soldi, moltissimi facevano il percorso a piedi non avendo la possibilità di spendere tale somma per ogni componente della famiglia. Accompagnavano tutte queste persone, raccolte nel pio esercizio della commemorazione dei defunti, le campane delle chiese di Salerno che rispettavano i rintocchi della circostanza. Quelle stesse campane che, alla morte di una persona, a seconda del numero dei rintocchi, permettevano di capire se si trattava di un uomo o di una donna. In molti casi si suonavano trentadue rintocchi, ai quali se ne facevano seguire due intervallati, oppure tre, a seconda se si trattava di una donna o di un uomo, mentre, alla morte dei bambini, le campavano suonavano a festa, in alcuni casi, se non aveva compiuto due anni.

Ricordi e tradizioni di un tempo lontano che non sono sopravvissuti alla velocità e modernità dei tempi presenti.