Sulle improprietà lessicali ci siamo già espressi. Ma è importante ribadirlo. Partendo dalle posizioni lessicali della Rai. Che, nell’impegno contro la violenza di genere, invoca la “parità di genere”. Una dizione impropria. Innanzitutto per una interpretazione errata della Costituzione. Dove, all’art. 3, non si parla di parità di genere, ma di pari dignità senza distinzione di sesso, razza, lingua, religione. E poi per un uso sbagliato che se ne fa sui media. Invece che cianciare di parità di genere – se ci si vuole esprimere in un italiano corretto – tra uomo e donna piuttosto non è meglio dire equità di genere?
L’altro errore è quello dell’uso del termine “femminicidio”
Una parola non solo orribile a scriversi e pronunciarsi, ma anche lessicalmente errata nella lingua italiana. L’ho scritto anche altre volte. Qualcuno si è alzato una mattina ed ha deciso di inventarsi un neologismo non solo cacofonico ma anche inutile per distinguere l’assassinio di un uomo (omicidio) da quello di una donna (femminicidio). Innanzitutto perché la parola femmina non equivale lessicalmente alla donna umana ma può esserlo anche per quella di gatto, di gallina, di labrador e così via. Ed anche perché l’etimo giusto di omicidio non è il latino homo, ma il greco ὅμοιος cioè simile, e quindi omicidio è l’uccisione di un proprio simile, uomo o donna, senza distinzioni. E’ lo stesso etimo che vale per omofobia od omofilia – sempre da ὅμοιος – che significano disprezzo o attrazione non verso l’uomo, ma verso un proprio simile. Ed allora perché non possiamo farlo anche per omicidio? E ci chiediamo ancora oggi cosa diavolo significhi femminicidio.
Violenze e delitti sulle donne. Sappiamo di tutti i gossip morbosi. Ma assolutamente niente sui suoi profondi meccanismi di base
Intanto il numero dei “femminicidi” è aumentato. Casualità o sindrome di emulazione. Fate voi. A sentir parlarne in continuazione, nei particolari macabri del delitto e negli sviluppi giudiziari, ne sentiamo succedere almeno di uno al giorno. Con tutti i particolari, ma quasi nulla sulle motivazioni psico-passionali. Forse perché la priorirà dei media non è quella di informare e formare i cittadini, ma di tenere in piedi il bau bau mediatico. Eppure, si sa, non esiste un modo per gestire il reale se non conoscendolo in profondità. E qui forse si chiede troppo ad alcuni commentatori, che a malapena riescono ad accennare ad una propria opinione, a furia di dover attenersi al dovere di cronaca. Ad ogni delitto una pioggia di cordogli, dal Capo dello Stato e dal Presidente del Consiglio fino all’ultimo sindaco italiano. E’ evidente che siamo di fronte alla incapcità di produrre una cultura diversa. Di questi aspetti i media non riescono a parlare quasi mai. Eppure sarebbe interessante, utile, chissà forse risolutivo comprendere cosa scateni la violenza. E quindi ecco inevitabile la retorica di alcune specialiste di esperta stoltezza, che al microfono di altrettanti stupidi si perdono stupidamente nel dire: “L’unico problema che abbiamo è l’uomo”. Boh!
Incompreso il maschilismo patriarcale di un poveraccio che uccide l’ex-moglie o compagna. Anche dall’inadeguatezza culturale del Governo
E’ proprio così. Basta leggere il disegno di legge “Disposizioni in materia di consenso informato in ambito scolastico”, presentato dal ministro Giuseppe Valditara. Ci renderemmo conto che l’educazione scolastica rischia di essere cancellata per legge. Riepiloghiamo il ddl di Valditara. Apparentemente intende rafforzare la corresponsabilità educativa tra scuola e famiglia”, ma che — nelle sue pieghe — introduce vincoli mai visti su un tema cruciale: l’educazione sessuale e affettiva nelle scuole italiane. L’articolo 1 del disegno di legge stabilisce che le scuole siano obbligate a chiedere il consenso informato preventivo dei genitori per ogni attività legata a temi “attinenti alla sessualità”. E fin qui nulla di nuovo. La novità sta altrove. La scuola – attenzione – dovrebbe fornire in anticipo ai genitori “tutto il materiale didattico” che verrà utilizzato, per ottenere il loro consenso formale prima di poter affrontare l’argomento in classe. Incredibile. Se fosse applicata, si trasformerebbe in una procedura in grado di paralizzare ogni intervento educativo su questi temi. Perché imporrebbe un controllo preventivo che non esiste per nessun’altra disciplina o progetto scolastico. Che, ovviamente, esige un’attenta ed adeguata formazione dei docenti, o un ricorso a psicologi esterni. Ma c’è di più. Il comma 4 del medesimo articolo vieta esplicitamente qualsiasi attività didattica o progettuale sulla sessualità nelle scuole dell’infanzia e primarie. E c’è ancora di più. La Lega, attraverso la sua deputata Giorgia Latini, ha presentato un emendamento che estenderebbe il divieto anche nelle scuole secondarie.
Avvocati nella vita, che in politica vogliono fare gli psicologi o i pedagogisti.
Alla fine, confondendo fischi per fiaschi. E qui, c’era da aspettarselo, sono scesi in campo nove Ordini regionali degli Psicologi. Da loro un allarme contro il rischio di privare le giovani generazioni di strumenti essenziali per capire e gestire i cambiamenti non solo fisici ma anche emotivi legati alla crescita. Ben detto. E non solo dagli psicologi, ma anche da organismi internazionali come l’Oms, l’Unesco ed il Parlamento Europeo. Un riconocimento condivisibile quindi da tutti quelli che hanno testa e buon senso. Primo, perché la sessualità è una dimensione relazionale, affettiva ed emozionale che evolve fin dai primi anni di vita. Secondo, perché l’educazione sessuale va intrapresa, con intelligenza e progressività, dai 3-5 anni in poi, e quindi altro che quella ridicola estensione del divieto nei licei. Terzo, perché l’educazione sessuale non è solo comprensione di generi e relazioni con il corpo umano. Va molto più in là, fino alle conoscenze, abilità, atteggiamenti che portano i ragazzi alla realizzazione della propria salute, alla comprensione di sé, delle proprie emozioni e dei rapporti con gli altri, in modo rispettoso e adeguato all’età. Altro che divieto di estensione. Tutti gli studi pedagogici dimostrano che intervenire precocemente favorisce lo sviluppo di relazioni sane, riduce il rischio di bullismo e violenza di genere, aiuta a riconoscere e gestire le emozioni e contribuisce alla prevenzione di comportamenti a rischio. Non riconoscerli, come in sostanza mostra di farlo questo governo di centrodestra, rischia di lasciare un vuoto educativo che sarà inevitabilmente riempito da Internet, dai social network, dalla pornografia online e, alla fine, dalla emulazione tragica e clamorosa degl episodi di aggressione ed uccisione della propria ex-moglie o compagna o fidanzata. E quasi tutti, come dice la cronaca, con uno strumento come il coltello. Una coincidenza o un significato profondo? Molti dicono e scrivono che il coltello rivela contenuti inconsci legati alla rabbia, alla paura, al desiderio di controllo o di liberazione, il bisogno di tagliare ciò che fa male e, al tempo stesso, la minaccia di una ferita che può arrivare da dentro o da fuori. Sigmund Freud lo vedeva addirittura come un simbolo fallico di desiderio represso. Carl Jung come l’archetipo di un’arma che l’uomo ha brandito per cacciare e sopravvivere. Insomma, dietro il delitto su una donna c’è tutto un mondo da scoprire. E non solo un ddl da scribacchiare.