Villa di Praiano, la falsa droga per un blitz vero - Le Cronache Ultimora
Ultimora Cronaca

Villa di Praiano, la falsa droga per un blitz vero

Villa di Praiano, la falsa droga  per un blitz vero

Antonio Manzo

Villa Zingone a Praiano, in questi tempi natalizi di luci e stelle è come la casa illuminata di un presepe. Palazzo Zingone è parte di una dimora storica del Settecento situata a Vettica, frazione di Praiano rivolta verso Positano e affacciata su Capri. Qui tra il mare e la montagna dove si può godere della vista, del sole fino al tramonto e del paesaggio naturale. Ma è anche il luogo oscuro dove l’Italia degli anni Settanta vide sceneggiare la drammatica storia della vicenda dei coniugi William Berger e Carol Lobravico attori americani, che risiedono in Costiera insieme ad un loro gruppo di amici per girare il film e finiscono in manette, prima in manicomio dove la donna morirà. Ed è qui che ad aprile del 1971, nell’Italia del boom economico, si consuma una pagina controversa della storia giudiziaria italiana ma anche uno specchio impietoso del rapporto, spesso irrisolto, tra Stato, legge e individuo. Una storia drammatica. C’è una pessima legge che parifica il piccolo consumatore di droga al grande spacciatore. Piccolo particolare, però: poliziotti, carabiniere e guardia di finanza arrivano di notte e in un blitz con cinquanta uomini bussano a casa Berger. Rovistano dappertutto, vogliono vedere dove nasconde la droga che consuma secondo le voci del paese che segnalano quell’andirivieni di presunti scapestrati nella quiete di Praiano. Perquisiscono ovunque e di droga trovano scarso un grammo. Che era erba. Che neppure gli appartiene. Lee forze dell’ordine si portano via 0,9 grammi di cannabis, 37 siringhe di plastica, i padroni di casa e tutti gli ospiti eccetto una ragazza, stranamente perché la cannabis appartiene a lei. Carol protesta, spiega che le siringhe le sono necessarie per una terapia contro i postumi di un’epatite virale e non per iniettarsi chissà quale droga, che d’altronde non viene trovata. Non l’ascoltano. Gli uomini vengono chiusi in un manicomio criminale, le donne in un altro. William dopo poco viene trasferito nel carcere di Salerno. Carolyn sta malissimo, sempre peggio. A un certo punto comincia a urlare di dolore e di nuovo non le danno retta, anzi, per quattro giorni la legano al letto. Il magistrato autorizza il ricovero in una struttura privata “scelta dai congiunti”, peccato che al marito non dicano nulla e quindi lei resti lì, finché decidono di spostarla, il 2 ottobre 1971, all’ospedale Cardarelli di Napoli. È troppo tardi. La operano, l’intestino è già perforato. Muore agli Incurabili. Forse ha la peritonite, ma non si saprà mai perché la seppelliranno senza autopsia. William riuscirà a vederla per cinque minuti, mentre sta già morendo e pesa 40 chili. Nell’Italia di quegli anni non c’è possibilità di opporsi con la Legge, nuda e cruda nelle sue intemperanze inquisitorie e nelle mani di un feudalesimo in toga che oscillava tra politici di governo e forze oscure. Inutili anche i comitati per sostenere la innocenza di Berger. Gerardo Grisi è un avvocato salernitano che partecipa al pool dei difensori degli americani investiti dalla “macchina della giustizia”. “La lotta con i magistrati salernitani diventa durissima. E’ una Giustizia che ordina la perquisizione di Berger perfino con alibi delle luci notturne della villa. Difendo così Carol, che poi sarà la vittima della malagiustizia. Con il collega Incutti dobbiamo ricorrere a un noto penalista italiano, Sotgiu, che ha già difeso Berger in altri processi. ma mai per droga. Capiamo così che siano di fronte all’magistratura e un apparato pubblico che appare più preoccupato di affermare la propria autorità che di comprendere la realtà dei fatti e tutelare le persone coinvolte”. Otto mesi dopo, nell’aprile del ’71, tutti gli imputati, compreso William, vengono assolti per insufficienza di prove. Si conclude così, con enorme dolore da parte di tanti e una morte atroce ed evitabile, uno degli episodi più disgustosi, criminosi, sconvolgenti della storia giudiziaria italiana. I giornali del tempo si interessano della vicenda Berger. In particolare, i reportage della giornalista Eleonora Puntillo pubblicati sul quotidiano L’Unità andrebbero riscoperti per la fierezza civile della scrittura e il racconto senza veli del dramma giudiziario. Quando Eleonora Puntillo va da Berger per chiedergli se intendesse far qualcosa perché i responsabili della morte di sua moglie fossero puniti, William Berger — prosciolto dopo otto mesi di detenzione dall’accusa di uso e detenzione di mezzo grammo di droga — le risponde: «Credi che servirebbe a cambiare il sistema? Carol è morta in manicomio, e non serve a nulla punire qualcuno e poi tutto resta uguale, e continua il sistema che l’ha uccisa». <Quanto è accaduto a William Berger, a Carol, ai loro amici,- scrive Eleonora Puntillo – è perfettamente «in linea» con la legge italiana, con la procedura penale, con i regolamenti giudiziari. Carabinieri, polizia, medici legali, magistrati, periti, non hanno fatto altro che applicare le leggi ed esercitare «normalmente» il potere che è stato messo nelle loro mani>. . L’Italia che non è quella della Dolce vita ma della ingiustizia che colpisce perfino con le mani della Legge. E’ l’Italia repubblicana forte con i deboli. Lo Stato, in questo caso, ha agito secondo una logica automatica e difensiva. Davanti a comportamenti ritenuti cosiddetti “devianti”, ha risposto con gli strumenti più duri di cui disponeva: arresti spettacolari, internamenti in manicomi giudiziari, procedure pensate più per contenere che per curare. Il tutto fondato su prove fragili, su sospetti più che su certezze, su una normativa sugli stupefacenti incapace di distinguere tra pericolo reale e mera trasgressione marginale. Il risultato è stato un cortocircuito drammatico tra legalità formale e giustizia sostanziale. Mentre i meccanismi dello Stato seguivano il loro corso, una donna malata veniva trascinata in un sistema sanitario-giudiziario inadeguato, incapace di ascoltare, di intervenire per tempo, di fermarsi. La morte di Carolyn Lobravico Berger non può essere archiviata come una tragica fatalità: è il prodotto di una catena di decisioni istituzionali che hanno privilegiato la rigidità delle procedure rispetto alla tutela della vita. “La casa degli angeli. Dal Paradiso all’Inferno” è il titolo del film sul caso Berger, che è stato proiettato all’auditorium Oscar Niemeyer di Ravello. La pellicola, per la regia di Daniele Chiariello e Pierfrancesco Cantarella, con la partecipazione di Franco Nero, Gianni Garko e Vincenzo Sparagna, narra le vicende che videro protagonisti l’attore americano William Berger e sua moglie, l’artista del Living Theatre, Carol Lobravico.