di Olga Chieffi
Il 15 aprile il nostro teatro Verdi compirà 150 anni. Nella primavera del 1872 il sipario si levò sul Rigoletto, tra gli stucchi d’oro e il blu lapislazzuli del cielo, un piccolo teatro San Carlo firmato dagli architetti Antonio D’Amora e Giuseppe Manichini, con i decori realizzati da Gaetano D’Agostino, affiancato dalle firme più prestigiose del mondo artistico partenopeo. Per i primi anni dopo la sua costruzione, il Verdi fu sempre più chiuso che aperto. Uno dei critici più pungenti della nostra città, Ottavio de Sica, lo zio stravagante di Vittorio, lo definì «lo schiavo di pietra», in riferimento alle catene che ne chiudevano il portico, sentenziando che «il Verdi era un’opera forse eccedente i bisogni angusti del popolo». Ma interessanti stagioni si susseguirono, in particolare nella ferace Salerno Belle Epoque, con i debutti su tutti di Enrico Caruso e del baritono Titta Ruffo, e ancora, l’esecuzione dell’Adriana Lecouvreur alla presenza dell’autore Francesco Cilea, e ancora Massenet e Wagner, nonché una memorabile interpretazione de’ La Fanciulla del West di Puccini nel 1921. Era allora il teatro Verdi, diviso tra grande lirica e prosa, come spesso ci racconta, il critico Francesco Tozza, enumerando le diverse gemme che sono passate per la nostra splendida “provinciale” che era Salerno, e che aveva la fortuna di distare soli cinquanta chilometri da Napoli, tra cui ricordiamo la prima assoluta de’ “I figli del Sole” di Gorkij al Verdi, il 4 gennaio 1907 allestita dalla compagnia di Italia Vitaliani, cugina della Eleonora Duse, tenuto in cartellone per una settimana, che attirò la stampa nazionale ed estera in città, per non parale dello stellare periodo che va dal 1954 al 1965 che ha visto passare da Salerno i massimi nomi dell’epoca, Gassman, Buazzelli, la compagnia dei Giovani, Albertazzi, sino alla rivoluzione degli anni ’70, che ancora salutavano Salerno come centro ferace di attività teatrale e musicale. Una città a “misura d’uomo”, in cui ci immaginiamo catapultati ogni qualvolta varchiamo la soglia del nostro massimo, ove a breve riesordirà la grande musica. Si riprenderà il 15 marzo con il violoncellista Giovanni Sollima alla testa dell’Orchestra Cherubini, in doppia veste di direttore e solista per i primi due concerti di Haydn, tra virtuosismo scintillante ma non ostentato, con un naturale equilibrio tecnicismi e interesse puramente musicale, e Fecit Neap 17 una sua composizione, dove mixa memorie del barocco napoletano ad atmosfere orientali. A seguire, “La cambiale di matrimonio”, la prima opera di Gioachino Rossini, la farsa in un atto, contenente già tutti gl’ingredienti che presto avrebbero conquistato il mondo musicale: ricca invenzione melodica, magistrale intreccio fra voci e orchestra, concertati a perdifiato che genereranno nell’uditorio un’irresistibile ilarità. Gli altri concerti ci condurranno come sul velluto all’inaugurazione del nuovo cartellone, con Raffaella Cardaropoli, interprete di un concerto da solista, qui nel suo teatro, con l’orchestra Filarmonica Salernitana, seguita dal récital pianistico di Salome Jordania, una giovane musicista scoperta del fiuto del Maestro Oren, che spazierà tra Liszt, Beethoven e Johann Strauss, per quindi vedere in palcoscenico il magistero pianistico del conservatorio Martucci con Imma Battista, Tiziana Silvestri e Rosalba Vestini e Massimo Trotta unitamente alle percussioni di Gerardo Zitarosa, in una serata d’intense e variegate sonorità. Recuperata la coda della stagione 2021, già è toto-titoli per il nuovo cartellone, che immaginiamo inaugurato da un eccellente Rigoletto, magari proprio il 15 aprile con un super-baritono nei panni del buffone gobbo, un Carlos Alvarez o un Luca Salsi e sul podio, naturalmente, Daniel Oren. Il sogno di Antonio Marzullo è da sempre stato quello di rappresentare l’Aida in Arena di Verona Style, a piazza della Libertà e sarebbe la vera inaugurazione, poiché ad oggi, in pratica, si è solo passeggiato. Quinte d’eccezione le porte del crescent, elefanti e cavalli al passo negli spazi della piazza. Ancora un titolo in carnet, potrebbe essere Macbeth una svolta che è più di una scommessa nell’itinerario verdiano, e che potrebbe attirare grandi voci ed eccellenze registiche, quali Ferznan Ozpetek a rendere quella “trivialità” risorsa strutturale, che permette di fare di un lessico il perno di una situazione drammaturgica. Un finale di stagione potrebbe farci sognare con la Cenerentola di Gioachino Rossini, un’opera buffa in equilibrio tra realtà e favola, una commedia sentimentale intrisa di elementi farseschi e grotteschi, in cui emerge l’inadeguatezza dell’uomo di fronte agli accadimenti, e che trova piena espressione musicale in quei concertati definiti “dinamici”, un ulteriore omaggio a chi dirige, quasi come un deus ex-machina dal cielo del suo teatro. Per ora, il “nodo” è ancora “avviluppato”, ma presto Daniel Oren e Antonio Marzullo scioglieranno ogni riserva.