Questa sera, Mariangela Vacatello, si esibirà nella chiesa di San Giorgio, ospite della seconda edizione della rassegna PianoSalernoForte promossa dall’E.P.T.
Di OLGA CHIEFFI
Secondo appuntamento, questa sera, alle ore 19, nella incantevole cornice della Chiesa di San Giorgio, con la seconda edizione della rassegna PianoSalernoForte, diretta da Costantino Catena e sostenuta dall’Ente Provinciale del Turismo del commissario Angela Pace. Ospite di questo secondo appuntamento e di una giornata particolare quale è la festa della Donna, sarà la pianista Mariangela Vacatello, la quale principierà il suo récital con i due Arabesque di Claude Debussy. Le due pagine sono composizioni giovanili del 1888 e risentono degli studi bachiani da parte dell’autore, pur tra evidenti innovazioni armoniche e ritmiche nella disposizione dei vari accordi. La prima Arabesque (Andantino con moto) ha un profumo lirico e una leggerezza di tocco più accentuata rispetto alla seconda (Allegretto scherzando) dalle pulsazioni ritmiche più nervose o dai contorni più netti. Fryderyk Chopin è il primo a servirsi del termine Ballata per composizioni solo strumentali. Evidente l’intenzione di trasporre nel linguaggio dei suoni il tono epico della Ballata letteraria: la scelta di un costante ritmo ternario (6/4 o 6/8 sorta di esametro dattilico in musica), la fluente discorsività dell’ispirazione melodica, l’ampia visione d’insieme nel gestire le progressioni drammatiche e il susseguirsi dei caratteri sono elementi costanti nelle quattro Ballate chopiniane. Mariangela Vacatello le eseguirà tutte e quattro per offrire un quadro completo di queste amate composizioni. La Prima Ballata, che costò a Chopin ben quattro anni di lavoro (1831-1835) è una sorta di forma ad arco. In così equilibrata architettura, il percorso tonale è però eccentrico: sol minore, mi bemolle maggiore, la maggiore, e poi di nuovo, a ritroso, mi bemolle e sol minore; si tratta di rapporti armonici che evitano le consuete tensioni tra tonica e dominante, o tra tonalità relative maggiori e minori, suscitando all’ascolto come un costante stato di attesa che verrà risolto, draconianamente, solo dalla vorticosa tregenda della Coda. La seconda Ballata (1836-39), che pare sia stata ispirata dalla poesia “Switezz” di Adam Mickiewicz (una caccia tragica in cui vittime sono delle fanciulle polacche, e carnefici gli invasori russi), esibisce senza mediazioni il brutale contrasto tra un sognante Andantino in fa maggiore e un drammatico Presto con fuoco in la minore, lasciando alla sola sezione centrale il compito di tentare una ricomposizione dei due inconciliabili elementi; dopo una Coda ad alta tensione virtuosistica, con sonorità esasperate e lancinanti, la conclusione è affidata brevemente a un ritorno del primo tema, immalinconito però nella tonalità di la minore. “Ballata” contiene nel suo etimo anche il significato di “ballo, danza”; e a ricordarcelo in modo esplicito è la terza (1841) delle Ballate chopiniane, in cui il ritmo ternario spesso ammicca al valzer, e che del valzer ha pure tutta l’eleganza delle fioriture ora espressive, ora brillanti. Anche per questa, come per la seconda, si è voluta trovare una fonte letteraria ispiratrice in un poema di Mickiewicz, questa volta dedicato alla leggenda di Undine, la ninfa amata e poi tradita da un mortale. Dopo la forma a pannelli contrapposti della Seconda, la Terza Ballata è invece un esempio mirabile di come il discorso musicale possa procedere attraverso elaborazione motivica, creazione di nuovi temi, ritorno di materiale già esposto, senza che all’ascolto si percepisca la minima fatica costruttiva, quasi come si trattasse di una unica, ininterrotta, felice improvvisazione, dove la logica della associazione di idee prevale su quella del ragionamento deduttivo. Complessa è invece la struttura della Quarta Ballata (1842); dopo una breve introduzione, l’intenso lirismo di una cantilena che si dipana e si riavvolge su se stessa è l’elemento predominante in una serie di variazioni e digressioni ora svagate, ora brillanti, ora drammatiche, finché, dopo un episodio contrappuntistico di esangue astrazione, riappare la cantilena dell’inizio, seguita da uno dei temi secondari, ed è dunque con il solo senno di poi che capiamo anche qui, dopo sì aspro e forte viaggio in oscura selva di note, di aver seguito il sentiero di una forma sonata. Memorabile la Coda, in cui la abnorme tensione precedentemente accumulata trova finalmente sfogo in catene di terze martellate, raffiche di arpeggi, rantoli di biscrome puntate. Finale affidato al Franz Liszt degli Studi Trascendentali ove non occorrono soltanto dita d’acciaio e di velluto, ma occorre anche credere che la musica a programma non è una fola. S’inizierà con il n° 11 “Harmonies du soir” che comunica la serenità della Morte, per poi passare alla Chasse neige che fa balenare lance e balestre, squilli di corni, cani, cavalli e un amore senza speranza, per chiudere con il terzo dei sei Etudes d’exécutìon transcendante d’après Paganini l’arcinota trascrizione de La campanella dal rondò finale del Secondo Concerto in si minore per violino e orchestra di Paganini: una melodia fresca e zampillante, immersa in un vorticoso turbinìo di trilli, di scale, di tremoli e di arpeggi che evocano una atmosfera di seducente felicità sonora.