UN FICO SECCO - Le Cronache Ultimora
Ultimora Campania

UN FICO SECCO

UN FICO SECCO

 

Alberto Cuomo

 

Una campagna elettorale triste? È vero, sebbene il rischio dell’aumento dell’astensionismo denunciato da De Luca ha in lui il maggiore responsabile. Quale fiducia si può avere, infatti, nella politica, e nella democrazia anche, se gli eletti alla guida delle istituzioni democratiche sono maggiormente attenti al benessere dei propri figli, dei propri amici e di quello degli amici degli amici, più che dei cittadini? Oltretutto i due candidati principali alla presidenza della Campania appaiono anemici. Cirielli, perché si limita a seguire le linee dell’azione del governo restando solo sulla superficie delle questioni regionali; Fico, perché è stato rinsecchito, in quanto spremuto dall’ex governatore, che lo avverte vigilerà sul lavoro compiuto nei suoi 10 anni di presidenza, dal PD della Schlein che invece lo vorrebbe artefice di un cambiamento, e dal suo stesso partito della cui crisi è l’immagine plastica. Il M5S appare, cioè, privo di una sua propria linea, diviso tra la volontà di mantenersi quale movimento dall’identità fluida, senza legarsi agli interessi di un precisato ceto, e il desiderio di agire in scelte di un possibile governo. Nato come forza antisistema, allergica alle alleanze, il M5S è passato in pochi anni da un governo con la Lega a uno con il Partito Democratico, attraverso il sostegno al governo Draghi. Un’evoluzione rapida che ha generato più di un malumore tra gli elettori, spesso spiazzati da cambi di linea difficili da conciliare con le promesse originarie. Anche la bandiera della democrazia diretta ha mostrato limiti evidenti. La piattaforma Rousseau, un tempo simbolo della partecipazione dal basso, è stata abbandonata dopo tensioni interne e accuse di scarsa trasparenza, tanto che il movimento, guidato oggi da una struttura più centralizzata, in netto contrasto con i principi fondativi, ha scelto senza votare tra gli iscritti il candidato alla presidenza della Campania. Sul fronte dei contenuti, il M5S è passato dalla retorica anti-casta al difficile equilibrio di forza di governo. Le sue riforme, come il Reddito di Cittadinanza e il cosiddetto Superbonus sono risultate fallimentari e molte battaglie annunciate sono rimaste incompiute. Anche i continui cambi di leadership – da Grillo a Di Maio, fino a Conte – hanno reso ancora più incerta l’identità politica del movimento. Il risultato è un partito che deve ancora definire con chiarezza cosa vuole essere: una forza riformista, un movimento di protesta o un soggetto politico ibrido. Tra ambiguità e riposizionamenti che ne hanno segnato il percorso politico dalla nascita a oggi, dal cilindro stellato è uscito Fico, scelto più per far pesare la propria presenza all’interno della coalizione che come politico cui affidare un deciso mandato. Roberto Fico incarna molte delle tensioni attuali nel Movimento 5 Stelle: tra identità storica e pragmatismo, tra sobrietà “populista” e privilegi istituzionali, tra critica interna e aspirazione al potere. Le sue contraddizioni non sono solo personali, ma riflettono le sfide più ampie del M5S: come restare fedele ai principi originari mentre si compete in un sistema politico maturo e complesso. Oltretutto il suo profilo da “uomo del popolo” stride con una realtà fatta di privilegi, quali scorte, una casa al Circeo e un’imbarcazione non proprio da pescatori. Fico ha dichiarato che la sua barca, battezzata “Paprika”, sarebbe un semplice “gozzo usato”. Ma i fatti dicono altro: secondo il Corriere, non si tratta affatto di una barchetta modesta, bensì di uno Sciallino di 34 piedi, capace di ospitare quattro persone, con un valore stimato da usato tra i 120 e 150 mila euro. Inoltre, quel “gozzo” non è semplicemente parcheggiato in un porto, ma in un’area militare, nell’ex comando Nato di Nisida dove, secondo Fratelli d’Italia, sarebbe consentito solo a figure istituzionali di particolare rilievo, non a un ex presidente della Camera. E non solo: secondo fonti giornalistiche, Fico gode di una scorta “no limits” con agenti che lo accompagnano in aereo e negli alberghi essendo a propria volta spesati. E che dire della casa al Circeo, fruita, secondo il Corriere dopo un condono chiesto dall’ex proprietario mentre da deputato votava contro i condoni? Non si tratta di “privilegi privati”, ma di gesti rivelativi di un paradosso politico più profondo. Il Movimento 5 Stelle ha costruito parte della sua identità attaccando la “casta”, ma alcuni dei suoi dirigenti, Fico in testa, sembrano aver metabolizzato i privilegi che denunciavano, sì che possa dirsi che l’antipolitica populista può diventare, col tempo, lo specchio di ciò che un tempo criticava. La debolezza del Movimento, che in Campania è passato dal 34% nelle politiche del 2022 al 20% nelle elezioni europee del 2024, costringe Fico a necessitare dei voti del PD che, però, nella regione sembra essere nelle mani di De Luca pure in una forte presenza di antideluchiani. “Che pesci pigliare?” si chiederà il povero Fico tanto da rimanere ingessato nella mancata scelta tra il PD deluchiano e quello di Manfredi-Schlein. Di qui i tanti suoi silenzi, sulla sanità regionale, sulla terra dei fuochi, sulla presenza della malavita nelle istituzioni, etc. si direbbe un candidato senza idee che ha solo promesso di non prendere per sé, così come ha fatto De Luca, la delega alla Sanità e, con essa, quella alla cultura. Due assessorati con portafoglio che Fico getta come esca a tutto il PD, senza inimicarsi nessuna delle due fazioni. Potrebbe dirsi che il populista si è trasformato in un accorto politico il cui potere è e sarà, ahinoi, nel non scegliere. Allora: perché votarlo?