Questa sera, alle ore 21, il sipario del teatro Verdi si leverà sul celebre titolo di Gaetano Donizetti per la regia di Riccardo Canessa e la direzione di Gennaro Cappabianca
Di OLGA CHIEFFI
Lessico familiare e autobiografico per il regista Riccardo Canessa il quale ha firmato, una particolare e calzante regia del Don Pasquale di Gaetano Donizetti, che stasera alle ore 21, vivrà la sua prima. Ieri mattina l’informale conferenza di presentazione nel foyeur del teatro Verdi con il sindaco Enzo Napoli e il presidente della commissione cultura Ermanno Guerra, che hanno raccomandato di non abituarsi a taluni standard di produzione, che non sono certo scontati per questi tempi di vacche magre, unitamente al segretario artistico Antonio Marzullo. Scorrendo il cast di questo attesissimo titolo, l’idea è che Salerno possa ridiventare la splendida provinciale d’inizio Novecento. Avremo una Norina giovane e talentuosa, Rosa Feola, che con la cabaletta del Don Pasquale ha salutato il 2017 nel Concerto di Capodanno dal teatro La Fenice, nel ruolo del titolo, il basso Roberto Scandiuzzi, mentre Ernesto, sarà interpretato dal tenore Juan Francisco Gatell. Al loro fianco il Dottor Malatesta, il baritono Sergio Vitale e il basso Luigi Cirillo, che darà voce al notaro, unitamente al coro maschile di servi e camerieri, preparato da Tiziana Carlini. Compito arduo per il violinista Gennaro Cappabianca, che ricordiamo nel ruolo di primo Konzertmeister dell’Orchestra Filarmonica Salernitana, all’apertura del massimo cittadino con la direzione di Janos Acs, e che stasera ritroveremo sul podio, insieme agli amici dell’epoca in buca, il fagottista Domenico Procida, il clarinettista Pietro Nunziata e il flautista Antonio Senatore, poiché, ha rivelato lo stesso direttore, è questa una formazione abituata a confrontarsi con il grande romanticismo di Verdi e il verismo di Puccini, per di più con una bacchetta stabile che ama tinte a forte contrasto. “In questa ultimo dramma buffo di Gaetano Donizetti bisogna giocare sulla variazione dei timbri, ci sono strumenti scoperti e virtuosismi, non è certo facile, ma tutti gli strumentisti si sono messi in gioco e si potrà ascoltare questo grande ventaglio di tinte e sfumature con cui l’orchestra dipinge l’azione scenica”. Riccardo Canessa ha immaginato Don Pasquale erede degli ozi partenopei. D’altra parte la famiglia Canessa trascorre a Capri la bella stagione e l’azione che si svolge al chiuso, saluterà un palazzo della nostra costiera, con la terrazza evocante Villa Cimbrone, ricostruito da Alfredo Troisi, e i panorami a noi cari. La vita di Don Pasquale si svolge, infatti, tra queste stanze spaziose e fresche adorne delle maioliche vietresi, tra una brocca di limonata, il limoncello, un buon caffè e la “Gazzetta dello Sport”, rigorosamente fin de siecle, appartenente alla personale collezione dei Canessa, unitamente alla noia quotidiana, alla femminile volontà di potenza, grazia della giovinezza e obesità della vecchiaia. In pratica la vedova Norina è un’erede di Adina, ma più scaltra e cosciente, con arte di seduttrice più consumata. L’andamento serrato si riflette anche nella macchina musicale, che deriva da Haydn, Cimarosa, Paisiello e Rossini, ma tutta aggiornata con ritmi di danza contemporanei, mazurke, valzer, galop, ecco di che cosa è composta la “virtù magica” della Norina, altro che vecchie storie d’amore con filtri muffi. Dopo la “Furtiva lagrima” di Nemorino ecco il “Cercherò lontana terra” del povero Ernesto, una seconda patetica raffigurazione di giovane “primo amoroso”, introdotto da uno struggente solo di tromba. In cattedra salirà Raffaele Alfano che annunciò anche il Dulcamara dell’Elisir. Stavolta, però, niente suoni stentorei da imbonitore di strada, dovrà “pittare”, per usare una parola del gergo dei fiati, quasi un blues, poiché Ernesto lascia la casa dello zio Pasquale, come i suonatori di jazz ospiti di Storyville, salutarono il quartiere a luci rosse di New Orleans. In quel 1843 non è più il momento di ridere su di un uomo che riceve uno schiaffo, anche se in burla. Lo schiaffo sarà uno dei due centri dell’azione drammaturgica voluti da Riccardo Canessa, che per l’occasione ha ricordato la sceneggiata di Enzo Vitale ‘O schiaffo del 1933, ieri come oggi, offesa troppo grave per l’insorgente nozione borghese del sentimento che il Don Pasquale codifica. Il bel lascito donizettiano sarà l’unico del paesaggio melodrammatico ottocentesco a far rifiorire il sentimento della rinuncia sulle rovine di una burla prima che, verso la fine di un secolo così ricco di tensioni, ci si riprovi Verdi, col suo geniale e semiserio Falstaff.